la Repubblica, 15 novembre 2015
Obama e Putin a questo punto sono più vicini
ANTALYA. «È un atto di guerra compiuto dall’esercito dello Stato Islamico», dice François Hollande. «Un attacco contro l’umanità intera», gli fa eco Barack Obama. E dunque è anche sul terreno militare che si organizza la reazione.
Parte dal G20 in Turchia un tentativo di controffensiva per colpire lo Stato Islamico (Is). La strategia politico-diplomatica si affianca alle operazioni militari: nuovi raid Usa in Libia decapitano l’Is locale il giorno dopo l’uccisione di Jihadi John in Siria; i peshmerga curdi filo-occidentali riconquistano Sinjar, fino a ieri roccaforte jihadista in Iraq. Il New York Times prevede che Obama dovrà adottare una strategia militare più offensiva: «Gli assalti sincronizzati che hanno trasformato Parigi in un teatro di guerra, pochi giorni dopo la strage di Beirut e l’attentato al jet russo in Egitto: questa rapida successione di colpi indica che da una guerra regionale si è passati a un conflitto globale. Per Obama e i suoi alleati questi attacchi impongono una strategia più aggressiva». A cominciare dalla frequenza, dall’intensità e dal raggio d’azione dei bombardamenti aerei della colazione guidata dagli Usa (con la Francia). Lo shock di Parigi può riavvicinare perfino Obama e Vladimir Putin sul da farsi in Siria: a Vienna, dove è in corso il vertice dei ministri degli Esteri coinvolti nella crisi, si accelera la transizione verso un governo di unità nazionale, che includerebbe temporaneamente Assad, in nome di una santa alleanza fra tutti i nemici dell’Is.
Al G20 la presidenza turca fa trovare ai leader mondiali una sala riunione su cui troneggia un messaggio in francese, rivolto dal padrone di casa Erdogan all’ospite assente: Je condamne l’attaque terroriste en France. Il terrorismo è balzato al primo posto fra i temi che saranno discussi. Domina il summit in tutti i sensi, a cominciare dal dispositivo di sicurezza, senza precedenti: ci sarà una no-fly zone sullo spazio aereo sopra il G20; e 13.500 poliziotti turchi presidiano la città balneare di Antalya contro i 6.000 dell’ultimo G20, un anno fa in Australia. Ma da allora la capacità dell’Is di colpire ha avuto un’escalation impressionante. Ben tre nazioni rappresentate qui al G20 hanno subito attacchi diretti di recente. Prima della Francia c’è stata la Russia e la Turchia stessa: più di cento morti ad Ankara un mese fa.
Il segretario di Stato americano John Kerry parla di «fascismo moderno e medievale al tempo stesso, che vuole generare il caos, ma i loro atti rafforzano la nostra determinazione di combattere tutti insieme». Gli fa eco il suo omologo russo Sergei Lavrov: «Non ci sarà nessuna giustificazione per noi, se non faremo di più per sconfiggere l’Is, Al Nusra e simili». Proprio dall’incontro Kerry-Lavrov a Vienna, poche ore dopo gli attentati di Parigi, è uscita la “road-map” per una soluzione politica in Siria: dal primo gennaio cominceranno le trattative dirette tra il governo Assad e l’opposizione, con l’obiettivo di formare un governo di transizione entro sei mesi, e andare alle elezioni sotto controllo Onu entro 18 mesi.
Dell’ipotetica soluzione siriana torneranno a parlare qui Obama e Putin. I due non si vedevano da fine settembre a New York, quando all’assemblea generale Onu il leader russo annunciò l’intervento militare in Siria. Da allora Obama è stato accusato di avere «abbandonato il campo» al rivale.
Ma di recente l’America sta tornando a colpire l’Is con iniziative di più alto profilo. Alla vigilia delle stragi di Parigi, un raid ame- ricano aveva «quasi certamente» ucciso a Raqqa Jihadi John, alias Mohamed Emwazi, il britannico noto per i video sulle decapitazioni di giornalisti americani. Ieri un altro raid aereo Usa, in Libia, ha ucciso Abu Nabil, leader locale dell’Is, l’uomo di fiducia di Al-Baghdadi, “portavoce” nel video sull’esecuzione di massa di cristiani copti su una spiaggia libica.
Sul terreno militare quindi la coalizione anti-Is incassa successi. Va aggiunta l’avanzata dei peshmerga curdi: hanno ripreso la città di Sinjar in Iraq, per 15 mesi una roccaforte dei jihadisti. Sembra una conferma della nuova strategia di Obama: che sta puntando sugli aiuti in intelligence ed armamenti ai peshmerga curdi, esercito ben addestrato, solidamente filo-americano. È probabile che anche la Francia voglia alzare il tiro, con raid più frequenti da parte dei suoi caccia- bombardieri, in risposta alla rivendicazione dell’Is sulle stragi di Parigi.
«Le parole non bastano nella lotta al terrorismo. Siamo ad un punto in cui questo è il tema numero uno», dice Erdogan rafforzato dalla vittoria alle recenti elezioni. Una dura accusa viene rivolta invece da uno dei leader dell’opposizione turca, Selahattin Demirtas, del partito pro-curdo Hdp. Secondo lui gli attacchi di Parigi sono il risultato di un fallimento collettivo di fronte all’Is: «Il mondo intero non ha lanciato uno sforzo coordinato. Al contrario ciascuno ha usato l’Is, o elementi ad esso legati, per i propri interessi».
Uno dei temi più delicati al G20 sarà la cooperazione tra servizi segreti. Nessuno dimentica che proprio in Turchia riuscì a fuggire da Parigi uno dei terroristi coinvolti a gennaio nell’attacco a Charlie Hebdo. Perfino all’interno dell’Unione europea la cooperazione tra servizi, polizie e magistrature è inadeguata, come dimostra la “cellula belga” che avrebbe contribuito alla strage del Bataclan. E la scoperta che uno dei terroristi era arrivato a Parigi dalla Siria con i profughi, rilancerà anche al G20 il tema dell’immigrazione. La Turchia è il luogo giusto per parlarne: ha accolto due milioni di rifugiati dalla Siria, ed è la principale area di transito verso i Balcani, l’Austria, la Germania.