il Fatto Quotidiano , 14 novembre 2015
Il sogno di una libreria piazza, foro, bar, palco, teatro, dove l’umanità sfrutta le conoscenze informatiche per comunicare invece che per isolarsi. Un posto dove circolano le idee
In Italia c’è un ambivalente rapporto con la lettura. Da un lato la si considera un comandamento non scritto, una virtù laica, un imperativo categorico, d’altro canto nella realtà si legge poco. Anzi a dire il vero, una larga fetta del paese guarda con sospetto i lettori, li considera bizzarri, introversi o eccentrici, un po’ rincoglioniti, sognatori, inconcludenti. Non voglio snocciolare le solite statistiche che rischiano di suonare astratte, però se salite su un ascensore e siete in cinque, tre di quelle cinque persone in un anno non leggono neppure un libro, mai, non lo comprano, non lo aprono, non gli interessa, tre, ammettendo che lo leggiate voi almeno un libro l’anno.
E non c’entra nulla l’aspetto economico nella variante parodistica del marxismo: secondo la teoria che il libro è caro, che non ci sono i soldi per l’acquisto, che è un bene superfluo, perché se sull’ascensore ci sono cinque manager con stipendi da manager, due di loro comunque non leggono. Neppure quel famoso libro l’anno. Però il punto forse è proprio in quell’inciso. Il libro è un bene superfluo?
Di solito le statistiche riguardanti la lettura non tengono conto di cosa si legge e di quanta lettura avvenga fuori dai libri. Conosco informatici, architetti, ingegneri, medici, molto attenti alle loro materie o interessati alla politica, all’economia, all’ecologia che leggono direttamente in lingua originale e in rete atti di convegni, abstract dalle riviste scientifiche. E conosco lettori compulsivi, che divorano libroidi ogni mese: basta che un cantante, una ballerina, un cuoco abbia scritto una biografia, o un romanzo, poi riscritto da un ghostwriter, e il lettore compulsivo non ne può fare a meno.
Questi sono soltanto due dei molti motivi per cui stanno chiudendo le librerie: la possibilità di leggere altrove, su altri supporti, e l’allontanamento dei lettori forti per la bassa qualità di una produzione invece quantitativamente immensa (escono qualcosa come 230 libri every fuckin’ day!). Ritorniamo però a quella domanda: il libro è un bene superfluo? E allargando: le librerie sono luoghi superflui? Sì, le librerie lo sono. Lo sono se si riducono a essere dei negozi, luccicanti o impolverati, perché l’acquisto online è conveniente, propone sconti maggiori e cataloghi vastissimi, senza perdite di tempo, file, problemi per il parcheggio. Nonostante librai preparati, cordiali, appassionati, barricaderi, le librerie continueranno a chiudere, sia quelle di catena, con alle spalle grandi editori o gruppi editoriali, sia quelle indipendenti.
A meno che non propongano un cambiamento di ottica. La filiera del libro non è complessa: prendiamo un prezzo di copertina, stabiliamolo a 15 euro, uno o due euro vanno all’autore, 4 o 5 euro all’editore, 4 o 5 a chi lo promuove alle librerie, lo tiene nei magazzini e lo distribuisce, il resto al libraio. Se tutto fila liscio dunque su un libro da 15 euro una libreria incassa 5 euro. È un margine bassissimo, incomparabile in ambito commerciale, e lordo: perché da quei cinque euro vanno sottratti l’affitto del locale, le spese fisse, i costi degli stipendi.
Senza pensare allo sconto che il cliente chiede, implora e pretende (se no, va a comprare lo stesso libro al Tuodì). È quasi impossibile in Italia avere un’attività di libreria, che campi di sola vendita e sia in regola. Perciò molte librerie chiudono, o si modificano. Alcune aprono alla gastronomia. Libri e caffè, libri e cibo. Di recente sono stato a una cena, presso la libreria Pallotta di Roma dove uno chef cucinava con tanto di fiamme fra gli scaffali. C’è chi invece si supporta tramite la vendita di abbigliamento, oppure tramite corsi di formazione o dando in affitto sale riunioni o per eventi.
Ecco, se domani io dovessi aprire una libreria, prenderei in considerazione tutte queste commistioni di vendita e cercherei un affitto calmierato, un luogo concesso dal Comune, dalla Regione, da un Ente, da una Fondazione, nella consapevolezza che per me libraio una libreria non è un luogo superfluo, ma socialmente utile alla cittadinanza. Inoltre considerando i margini bassissimi, contatterei i piccoli e medi editori per avere rapporti diretti e ottenere prezzi più convenienti (in questo segmento di mercato è nata un’interessante iniziativa di distribuzione come Satellite Libri).
Nel caso dei grandi editori, abbasserei moltissimo la loro giacenza, cioè avrei disponibili pochissimi libri di Mondazzoli e Messaggerie e mi organizzerei con un grossista etico, ad esempio GoodBook.
Le librerie non possono essere biblioteche, perché i libri esposti si pagano. Perciò bisogna avvalersi di un sistema rapido di recupero: Goodbook può essere una soluzione perché dà la possibilità al lettore di ordinare il libro online e informa la libreria di riferimento dell’ordine. E poi organizzerei un incontro dietro l’altro: dibattiti, presentazioni, reading. L’aspetto dell’offerta culturale attraverso l’interazione umana è l’unico fattore difficilmente sostituibile o replicabile nei centri commerciali. Sogno una libreria dove i clienti non hanno bisogno di leggere il programma, perché sanno che ogni pomeriggio troveranno qualcosa, e qualcosa di bello, di intelligente, di contemporaneo.
Due settimane fa ero stato invitato a presentare il mio ultimo romanzo dalla libreria Vicolo Stretto, a Catania, ma per un inconveniente ho perso l’aereo. Con le proprietarie della libreria abbiamo optato per fare comunque la presentazione: via Skype. È andata molto bene, i lettori sono entrati dentro il mio soggiorno cucina e io ho firmato le dediche che poi spedivo via Whatsapp alla libreria.
Da lì ho pensato che sarebbe bella una libreria collegata con il mondo, e chiedere a Alice Munro se ci concede venti minuti del suo tempo, e a Eddie Vedder se possiamo assistere a un momento di sala prove, e a Roberto Bolle se ci mostra come si allena. Vorrei una libreria con uno schermo acceso sulla cultura. Si potrebbe chiedere a poeti e drammaturghi di leggere dei loro inediti, di farci vedere le loro prove generali.
Sogno una libreria piazza, foro, bar, palco, teatro, dove l’umanità sfrutta le conoscenze informatiche per comunicare invece che per isolarsi.
Ecco, in questo modo la libreria sarebbe un luogo dove circolano le idee, le proposte, le visioni. E i libri. Basta vivacità intellettuale e una buona connessione Internet.
Con un posto simile non vorrebbe neanche più da chiederlo se i libri (quelli belli, intelligenti, veri) sono un bene superfluo.