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 2015  novembre 14 Sabato calendario

Da Telecom ad Adidas, quelle scalate low cost

Dopo quella a Telecom, i mercati hanno assistito a un’altra pseudo scalata. Ispirandosi alla manovra del francese Xavier Neil su Telecom Italia, ecco che Nassef Sawiris, appartenente alla famiglia più ricca d’Egitto, con una quota del 6% è diventato il nuovo principale azionista del gruppo Adidas (seguito da BlackRock).
Il comune denominatore fra queste due operazioni è sempre lo stesso, il grosso della posizione è dato da opzioni, cioè diritti a comprare azioni a un certo prezzo ed entro o a una certa data. I titoli azionari veri e propri quindi non sono ancora in portafoglio. Nonostante si tratti solamente di due operazioni, qualcuno parla già di una moda, che potrebbe consolidarsi se l’esito delle due operazioni dovesse evolversi e risultare conveniente in qualche modo per chi la mette in pratica.
Ma perché si scala una società comprando opzioni, invece che titoli azionari? Conviene questo strano approccio alla finanza straordinaria? Quali sono i rischi? Come riuscire a capitalizzare, da investitore, una parte dei risultati che queste scorribande sui mercati innescano?
MF-Milano Finanza prova a rispondere a queste domande, che molti investitori si fanno. Partiamo dall’ultimo interrogativo. «Le società appetibili sono quelle contendibili», ha spiegato Giovanni Natali di Ambromobiliare, traghettatore di moltissime aziende sui mercati finanziari, che vanta una grossa esperienza in materia di corporate finance.
Più nel dettaglio nessun socio deve avere una partecipazione superiore al 50%. Meglio ancora se nessuno supera la soglia del 30%, cioè una quota significativa. «La presenza di patti di sindacato, invece, non esclude l’ascesa di qualche nuovo azionista. In caso di superamento della soglia del 30%, quando scatta l’opa obbligatoria, i patti di fatto sono sciolti», spiega Natali. Su come andare ad individuare queste azioni diremo più avanti.
Passando ai motivi alla base di una simile strategia, quello di camuffarsi regge poco. Gli obblighi di comunicazione nazionale, quando si superano certe soglie, in base al Testo Unico della Finanza e ai regolamenti di mercato, scattano sia nel caso di possesso di titoli che in quello di opzioni che danno diritto ad acquistare i titoli. Le regole sono analoghe a livello internazionale. La Comunicazione va fatta alle Autorità di Vigilanza dei Mercati, in Italia la Consob. L’obbligo scatta ogni 2% di azioni rappresentative del capitale sociale, quindi 2, 4, 6% ecc. fino ad arrivare al 30% quando è necessaria un’azione ancora più forte, un’opa obbligatoria sul restante pacchetto azionario in circolazione. La misura serve a garantire pari opportunità di vendita a tutti gli azionisti che sono ancora in possesso dei titoli.
L’obbligo sussiste sia quando si sale che quando si scende. Quindi anche se si finanzia l’operazione vendendo delle put sullo stesso titolo. La strategia basata sulla vendita di put consente di minimizzare il capitale investito.
I vantaggi economici di un’operazione come questa possono essere comunque duplici: si impiegano meno risorse, e l’utilizzo è dilazionato nel tempo. I diritti costano molto meno dell’azione, non consentono il godimento dei diritti di partecipazione e voto all’assemblea societaria ma sicuramente permettono di esercitare un’influenza. Agli occhi del mercato ci si può atteggiare come potenziali futuri azionisti avendo sborsato grosso modo al massimo un trentesimo (3%) di quanto necessario per comprare effettivamente il titolo. Certamente prima o poi le risorse per comprare le azioni dovranno essere messe in campo, se si vuole aspirare a diventare realmente azionisti. Questo lusso ha però un costo, perché al prezzo futuro del titolo va aggiunto quello del premio, ma le necessità di capitale sono diluite nel tempo e a scadenza. Per chi non è pratico di derivati, i diritti di opzione sono una sorta di caparra con le quali ci si impegna a comprare qualcosa entro una certa data (se del tipo americano) o a una certa data (se europea).
Nel caso del rastrellamento dei titoli le risorse per comprare devono essere messe in campo subito. Le opzioni possono avere scadenza mensile, trimestrale e nell’ambito delle quotate si può arrivare fino a scadenze di 3 anni sui mercati italiani e di 4 su quelli esteri. «Escludo che in caso di scalate qualcuno possa puntare a opzioni di scadenza superiore a un anno», ha spiegato l’option trader Eugenio Sartorelli, «perché sarebbero troppo cariche di effetto Teta, cioè del tempo». Più sono lontane nel tempo come scadenza e più costano, i vantaggi economici sarebbero quindi annacquati.
Ovviamente le scalate a base di opzioni possono essere anche oggetto di trappole rialziste per altri investitori, per questo molto spesso i trader pur registrando movimenti anomali su questo strumento non ci si tuffano. Detto in maniera più esplicita si potrebbe salire «potenzialmente» come quota nella compagine sociale con le opzioni, far salire il prezzo del titolo sulle aspettative di una scalata e poi liquidare la posizione sul mercato prima della scadenza a un prezzo più alto di quello di acquisto. Tecnicamente però, come detto, anche le discese nel possesso potenziale di azioni devono essere obbligatoriamente comunicate entro 5 giorni.
Resta infine da capire se anche l’investitore individuale può mettersi al traino di queste operazioni per riuscire a cogliere gli spike rialzisti di prezzo che evidenziano di solito i titoli oggetto di scalate. La risposta è certamente sì. Il problema semmai è conoscere bene le opzioni con sottostante quello specifico titolo, tutti gli strike, le diverse scadenze. Tecniche da professionisti, per intenderci, e un lavoro che rischia di essere inutile se non si opera professionalmente su quello specifico titolo. Il dato da tenere d’occhio è quello tradizionale dei volumi, ma può essere utile analizzare anche le reazioni al prezzo del sottostante e i volumi del sottostante stesso. Si lavora con fogli di calcolo elettronici. In Italia il 5% dei trader privati in base ad alcune recenti stime tratta opzioni, un’attività più da trader più che investitori. Il camuffamento per evitare che la scalata venga smascherata anzitempo è quindi molto complicato soprattutto quando si passa dal mercato regolamentato. Solitamente sul mercato gli scambi azionari effettivi coinvolgono valori inferiori all’1% del capitale, sulle opzioni ancora meno. Il mercato di questi strumenti, utilizzati dagli investitori istituzionali è fatto al 50% da market maker, cioè operatori presenti in pianta stabile sulla piazza finanziaria.
Sui mercati non regolamentati, gli Otc, la controparte, cioè colui che vende il diritto a comprare il titolo, difficilmente si prende il rischio di vendere qualcosa che non ha e quindi ricompra pian piano i titoli sul mercato o compra delle opzioni lui stesso sul mercato di segno opposto per equilibrare la sua posizione di rischio, ovviamente a un prezzo più basso. Alla fine quindi passa sempre dal mercato regolamentato e quindi è riconoscibile. Tutte le principali banche d’affari nazionali ed internazionali, i grossi brand della finanza, sono ben collaudati nella costruzione di operazioni di questo tipo. Per capire chi sono basta vedere l’elenco dei principali market maker in opzioni sui mercati nazionali e internazionali.