MilanoFinanza, 14 novembre 2015
Perché il super-Qe di Draghi in arrivo a dicembre non salverà l’Europa
Meno male che nel marzo scorso la Bce ha lanciato il Qe. Altrimenti lo spread dell’Italia oggi non sarebbe ancorato ai 100 punti base. E figuriamoci se il Tesoro sarebbe riuscito a collocare i Bot a 12 mesi con tassi sottozero. Perché i dati dicono che la situazione sta peggiorando: a meno di una forzatura della Costituzione, a breve in Portogallo entrerà in carica un governo di sinistra guidato dal leader socialista Antonio Costa, affiancato anche dal Partito Comunista, pronto a rovesciare le misure di austerità adottate a seguito degli accordi presi Bruxelles dal precedente esecutivo.
In Grecia, poi, il premier Alexis Tsipras ha dovuto affrontare uno sciopero generale e l’uscita dalla recessione sembra più lontana che mai, con tutti gli effetti negativi sui conti pubblici. Su tutto incombe poi lo spettro dell’uscita del Regno Unito dalla Ue, trattato a pagina 15 da Angelo De Mattia. Senza dimenticare la determinazione della Catalonia a procedere con l’indipendenza dalla Spagna, dove il 20 dicembre si terranno elezioni politiche dall’esito incerto. A questo si è poi aggiunta la delusione per i dati del pil di Eurolandia, cresciuto nel terzo trimestre dello 0,3% rispetto al secondo e dell’1,6% su base annua, al di sotto delle attese del consenso (+0,4% t/t e +1,7% a/a). Per Jonathan Loynes, capo economista per l’Europa di Capital Economics, è evidente che la crescita della zona euro è ancora troppo lenta e questo rende più che mai necessario un rafforzamento del Qe il 3 dicembre, in occasione del Consiglio direttivo della Bce.
Secondo gli strategist di Ig, i dati sul pil dimostrano come «gli effetti positivi» del piano di acquisto di bond, che ora procede al ritmo di 60 miliardi di euro al mese, «siano stati ridimensionati notevolmente dalle turbolenze e dai timori che hanno interessato i mercati durante l’estate. L’euro mediamente più forte rispetto ai valori di inizio anno ha fatto poi il resto». Queste turbolenze erano state innescate dal rallentamento dell’economia cinese e dalle incertezze relative alla tempistica del rialzo dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve. Incertezze che permangono a dispetto dell’avvicinarsi della riunione del Comitato di politica monetaria della Fed in programma il 16 dicembre. Non passa giorno senza che qualche esponente della Banca centrale Usa dica la sua, aumentando la confusione. Mentre il Fondo Monetario Internazionale continua a ribadire che la Fed dovrebbe rinviare ancora l’aumento dei tassi a causa delle conseguenze negative che la mossa avrebbe sui Paesi emergenti.
Ed è proprio il rallentamento di questi ultimi ad avere dato un forte contributo all’indebolimento della crescita di Eurolandia, le cui esportazioni hanno subito una frenata, specie in Italia e in Germania.
Gli strategist di Ig hanno spiegato che se finora il mercato scontava un taglio dei tassi sui depositi di 10 punti base, al -0,30%, «probabilmente dopo i dati» sul pil «ci sarebbe spazio anche per qualcosa in più. Ad avvalorare questa ipotesi ci sarebbero i nuovi cali dei prezzi di molte materie prime, che hanno visto il petrolio tornare ai livelli di agosto, mentre rame, zinco, platino e nichel hanno aggiornato i minimi da oltre sei anni. Questi dati contribuiscono a peggiorare le aspettative di inflazione e saranno presi come pretesto per adottare nuove misure». Nel suo ultimo intervento al Parlamento europeo, il presidente della Bce, Mario Draghi, ha dichiarato che «altri interventi potrebbero essere attivati, se necessario, per rafforzare l’impatto» del Qe. Un modo per dire che è all’esame anche l’acquisto di bond emessi dagli enti locali, come i Comuni e le Regioni.
Quello dei cosiddetti muni-bond è un mercato ben sviluppato. In Eurolandia sono infatti in circolazione obbligazioni per 500 miliardi di dollari. Solo negli ultimi 12 mesi le Regioni hanno venduto bond per più di 76 miliardi di euro. Le obbligazioni emesse dalla città di Parigi, per esempio, ammontano in tutto a 4 miliardi di euro e recentemente la capitale della Francia ha collocato un bond da 300 milioni. Un profano potrebbe obiettare che la Bundesbank non darebbe mai via libera a una norma che consentirebbe alla Bce di fare entrare nel proprio portafoglio, tanto per dire, i bond del Comune di Napoli. E invece il rigido presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, potrebbe dare il via libera all’operazione perché in realtà il grosso di queste obbligazioni viene emesso dai Comuni e soprattutto dai Lander tedeschi. Al momento il Qe prevede acquisti per 60 miliardi di euro al mese e le quantità riservate alle banche centrali di ogni singolo Stato membro dell’Unione monetaria corrispondono alla quota detenuta nella Bce. Pertanto gli acquisti maggiori vengono effettuati dalla Bundesbank, che però avrebbe una certa difficoltà a raccogliere la quantità di bond di sua spettanza. Mettendo nel paniere i muni-bond il problema verrebbe risolto. Qualche malpensante potrebbe osservare che, poiché i Lander detengono quote importanti di grosse società tedesche (un esempio per tutti Volkswagen, dove la Bassa Sassonia è al 18,2%), la mossa potrebbe finire con il beneficiare imprese in difficoltà, mascherando quello che potrebbe anche essere interpretato come un proibitissimo aiuto di Stato. Ma poiché gli effetti positivi li sentirebbe in particolare la Germania, si può ragionevolmente pensare che da Weidmann non verrebbe una dura opposizione.
Resta il fatto che Eurolandia ha bisogno di dosi maggiori di Qe, che se riescono a esaltare i mercati finanziari alla lunga non possono risolvere i problemi reali che affliggono l’area. Il Qe può infatti mantenere a livelli bassi lo spread dell’Italia, ma non può impedire che il futuro governo portoghese adotti provvedimenti che Bruxelles definirebbe populisti, come per esempio il ripristino dell’indicizzazione delle pensioni; la reintroduzione dei sussidi per le famiglie povere; la soppressione del taglio del 10% ai salari dei funzionari pubblici oltre 1.550 euro; il ripristino di quattro giornate festive; il blocco delle privatizzazioni. A quel punto la Bce potrebbe minacciare di escludere i bond del Portogallo dal Qe. E se il nuovo governo insistesse nelle sue determinazioni, scoppierebbe l’ennesima crisi nell’Europa meridionale.
Il Qe, poi, non è assolutamente in grado di influenzare l’esito del referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nella Ue. E probabilmente avrà scarsa influenza anche sul voto in Spagna. Perché l’economia cresce poco ovunque ed è imbarazzante leggere certe attese miracolistiche sull’apporto positivo che daranno i nuovi migranti arrivati nel Vecchio Continente. Per ora questa «ondata», come la chiama il ministro dell’Economia, Wolfgang Schaeuble, è riuscita invece a indebolire ciò che si credeva solidissimo: la poltrona della cancelliera Angela Merkel. Qe o non Qe, si sta assistendo allo sfilacciamento di Eurolandia e in questo desolante scenario una delle poche sicurezze arriva dall’Italia, alla quale Standard&Poor’s ha confermato il rating BBB- con outlook stabile. Certo, la crescita economica ha subito un rallentamento: nel terzo trimestre il pil è aumentato dello 0,2% contro l’atteso +0,3%, dopo avere registrato un incremento dello 0,3% nel secondo e dello 0,4% nel primo trimestre. Positivo l’incremento su base annua, pari a +0,9%, il dato più alto dal secondo trimestre del 2011, ossia da oltre quattro anni. Ma resta ferma a +0,6% la crescita acquisita del pil per il 2015. Per raggiungere il +0,9%, fissato dal governo per quest’anno, occorrerebbe dunque una forte accelerazione nell’ultimo trimestre. Un’accelerazione che non potrà arrivare dal super Qe, visto che verrà deciso a dicembre. Non resta che affidarsi allo shopping per le feste di fine anno, quindi a Babbo Natale.