Corriere della Sera, 14 novembre 2015
«La Francia è in prima linea nella guerra all’Isis. Per questo viene attaccata»
DAL NOSTRO INVIATO
Parigi «Il perché è molto semplice. La Francia è in prima linea negli affari del Medio Oriente. È in prima linea quasi da sola nel Mali, dove combatte gli estremisti islamici. Ed è almeno in seconda linea nella guerra a bassa intensità contro l’Isis, colpendo con i suoi aerei in Iraq e Siria. Piccolo dettaglio, sul suo territorio c’è la più grande comunità islamica d’Europa».
Jean Guisnel, esperto di questioni militari e servizi segreti, professore alla Scuola speciale militare di Saint Cyr, autore di una dozzina di libri sul tema, è una delle persone più adatte per tentare di rispondere alla domanda più elementare e al tempo stesso più difficile.
Come è potuto accadere di nuovo?
«Sul piano formale è stato fatto tutto quel che andava fatto. Dopo Charlie Hebdo i servizi segreti e gli apparati di sicurezza sono stati rinforzati con uomini, denaro, maggiore libertà di indagine, leggi molto più permissive e votate da tutti sulle intercettazioni telefoniche ed elettroniche».
Allora cosa è mancato?
«Il metodo. Quel che i servizi segreti non utilizzano a dovere è il modo, il contesto. Hanno tutti i mezzi per proteggere il Paese da una minaccia esterna. Ma qui non parliamo di stranieri, parliamo di persone che vivono in Francia, che lavorano accanto a noi, che fanno parte di una comunità di 6 milioni di persone. Ed è subito apparso chiaro che la ricchezza di mezzi nulla poteva contro la ricerca di un ago nel pagliaio».
Ancora con la teoria del lupo solitario?
«No, anche questo diaframma purtroppo è caduto. Non sappiamo ancora bene cosa è successo, ma appare chiaro che si tratta di attacchi coordinati e diversificati al tempo stesso. L’assalto a bar e ristoranti, i kamikaze allo Stade de France, la presa d’ostaggi in una sala da concerto. Una operazione ben preparata e coordinata, eccome».
Erano mesi che a Parigi si parlava della possibilità di nuovi attacchi...
«Certo. Ma con il fatalismo che si riserva appunto all’ineluttabilità del lupo solitario. Bisogna essere pronti, si diceva, sappiamo che può succedere ancora. Tutto veniva messo in relazione all’organizzazione di attentati da parte di singole individualità. Era un modo per prepararsi al peggio. Prevenire, prevenire davvero, è un’altra cosa».
Ma il controspionaggio a cose serve?
«A infiltrare un ambiente del quale si possiedono le coordinate minime. Ma è di tutta evidenza che 6 milioni di persone sono l’equivalente di una intera nazione. La retorica del lupo solitario, alla quale sono stati ridotti i fratelli Kouachi e Ahmedi Koulibaly, serve ad esorcizzare la paura dell’ineluttabile».
Charlie Hebdo non ha insegnato nulla?
«Evidentemente no. Mi sembra che questa notte tremenda ne sia la tragica dimostrazione».