La Gazzetta dello Sport , 13 novembre 2015
I cent’anni beati di Carla Marangoni, medaglia d’argento alle Olimpiadi del 1928 ad Amsterdam
Galleggia come un sughero sull’onda della vita, scavalcando anche i frangenti di Hokusai. Carla Marangoni, da Pavia, ha superato tutto: due guerre, le alluvioni del Ticino, le bombe che hanno distrutto il Ponte Vecchio, il crollo della Torre Civica. Oggi compie cento anni. È la medaglia olimpica, viva, più antica del pianeta dopo l’ungherese Tarics. Conquistò l’argento ai Giochi di Amsterdam il 9 agosto 1928, a 12 anni e 9 mesi. Con 11 compagne della Società Ginnastica Pavese gareggiò nella prova a squadre. L’unica medaglia delle ginnaste italiane. Prima medaglia in assoluto delle donne italiane. Clara Marangoni è un po’ la madre di Ondina Valla, Simeoni e Deborah Compagnoni, di Trillini e Vezzali, di Belmondo e Pellegrini. A cento anni vive sola nel cuore di Pavia, a due passi dal Duomo, in via Verdi 12, in un appartamento baciato dal sole. Tre stanze al quinto piano. Balcone con vista sul cupolone del Duomo progettato da Bramante, studiato da Leonardo. Indipendente. Libera. Da giugno a settembre sta nella sua casa al mare, a Ceriale, sulla Riviera Ligure, tra palme e orchidee. Solo da pochi giorni, per un problema all’anca, usa il bastone. Ma oggi uscirà per festeggiare al ristorante con amici scelti.
il grande progetto Carla è nata a Pavia durante la Grande Guerra, il 13 novembre 1915. Figlia di Angelo, proprietario terriero pavese, e di Elisa Giordano, fiorentina. Casa sul Lungoticino Sforza, davanti all’Idroscalo, vicino al favoloso San Michele. Due fratelli – Achille e Federica – e il respiro del fiume. Ha amato il Ticino. Le sponde impreziosite di barche, pescatori, lavandaie. Lo ha risalito spesso remando fino a Santa Sofia o, addirittura, fino a Canarazzo. Poi si tuffava e, seguendo la barca, guidata dalla corrente, nuotava, lì dove anche Einstein aveva fatto il bagno. Bambina, ha trovato la via della palestra di via Volta, ricavata nella navata della chiesa di San Dalmazio, sconsacrata, atelier della Società Ginnastica Pavese, fondata nel 1879. Ci arrivava a passettini, nella nebbia, le suole che dialogavano con la rizzarda, il pavé di ciottoli di fiume. Nel 1927 nacque il grande progetto. La ginnastica femminile avrebbe esordito ai Giochi del ‘28 e il prof. Gino Grevi voleva partecipare con le ginnaste pavesi. Furono 12 mesi di lavoro, in palestra e, col bel tempo, in Piazza Castello, davanti al Palazzo Visconteo che Petrarca aveva visitato nel Trecento. Grevi era un trascinatore, creativo e abile: suo figlio Vittorio sarà – con Giandomenico Pisapia, Giovanni Conso e Giuliano Vassalli – il padre del nuovo Codice di Procedura Penale.
LA SELEZIONE Il 17 giugno 1928 ci fu la gara di selezione, a Milano, sul campo della Forza e Coraggio. A sorpresa la Società Ginnastica Pavese precedette la Reale Società Ginnastica di Torino della prof.ssa Andreina Sacco, la Forza e Costanza di Brescia di Giorgio Zampori, 4 ori olimpici, e l’US Sestri Ponente della prof.ssa Teresa Coppa Molteni. In giuria c’era Lando Ferretti, presidente del Coni, che aveva già messo il fascio littorio accanto allo stemma sabaudo sulle maglie azzurre. Vinsero tutto le pavesi, seguite dal sussurro velenoso: «Ecco le ragazzine di Pavia, che il diavolo se le porti via». Il 4 luglio Carla e le compagne andarono in ritiro per tre settimane a Pallanza nella villa dei Rovelli, produttori di camelie. I ginnasti, guidati da Zampori, stavano a Gardone. D’Annunzio andò a trovarli e raccomandò loro: «Salutatemi la grande nobile Amsterdam e, come già mi avete promesso, andate in pellegrinaggio rituale a inchinarvi davanti alla “Ronda di notte”». Il Treno Azzurro, con i ginnasti, partì il 25 luglio da Milano. Carla & C, scortate da Grevi e da Maria Bisi, custode della palestra di via Volta, scoprirono il vagone-ristorante. Alla stazione di Friburgo improvvisarono un canto a piena gola: da un altro vagone risposero le ragazze tedesche. Arrivarono alla stazione di Amsterdam alle 13.00 del 26. Poi, un pullman le portò alla banchina di Coenhaven, dove era ormeggiato il piroscafo Solunto, casa galleggiante di tutti gli azzurri, compreso Lando Ferretti, capospedizione. Le ginnaste, con gli schermidori, ebbero le cabine migliori, sul ponte. I bauli arrivarono solo il 27, sotto la pioggia dirotta. Il 28 Carla provò la gioia della cerimonia inaugurale.
L’ESERCIZIO Sono i Giochi di Nurmi, Weissmuller, Helene Mayer, Halina Konopacka. Carla e le sue compagne non andarono a vedere Rembrandt, si allenarono sul cemento della banchina. Poi, finalmente, l’8 agosto scesero in campo. Per Carla un’esperienza mozzafiato. L’emozione produsse subito un errore. All’«Attenti a dest!» due delle dieci svoltarono a sinistra. Ma si ripresero. L’esecuzione della progressione a corpo libero, con esercizi di ginnastica ritmica ed espressiva e movimenti di ginnastica respiratoria, incantò. Erano terze, dopo olandesi e inglesi. Le olandesi erano donne dai 19 ai 31 anni, le pavesi adolescenti da 11 a 17 anni. Ma il 9 agosto regalarono un’esecuzione mirabile alla spalliera, poi ricevettero applausi a scena aperta per l’interpretazione geniale della prova dei salti. Finirono seconde. Fecero il saluto romano. Anna Frank non era ancora nata. Esultarono le olandesi. Cinque erano ebree. Quattro di loro, nel ‘43, furono annientate, con mariti e figli, nei campi di sterminio di Sobidór e Auschwitz. Helena Nordheim, col marito Abraham e la figlia Rebecca, il 2 luglio ‘43 ritrovò l’allenatore Gerrit Kleerekoper, con la moglie Kaatje e la figlia Elisabeth, nella camera a gas di Sobibór. Un incontro terribile. Anna Frank era già da un anno nell’Achterhuis, la «retrocasa», nascosta dalla libreria, sul Prinsengracht, il canale del principe. Degli 8 inquilini di quell’alloggio segreto si salverà solo suo padre, Otto. Anna, con la sorella Margot, morirà a Bergen-Belsen.
I RICORDI Nell’amarcord di Carla, oggi, ci sono solo i momenti belli. La risata della Regina Guglielmina, quando le confidò che giocava a calcio. Il mazzo di fiori, che, con emozione, donò a Mafalda di Savoia, la principessa che morirà a Buchenwald. Il trionfo al ritorno a Pavia. Il libretto di risparmio con 100 lire. L’esibizione al Teatro Lirico di Milano. La medaglia del Duce. Poi il diploma di ragioniere, e, tra le prime donne a Pavia, la patente d’auto e quella nautica. Il lavoro alla Motorizzazione. Le remate sul Ticino, le pedalate verso la Certosa, le escursioni sulle Dolomiti. L’Oltrepo favoloso, la Val Staffora e il mare. Non si è sposata. La tv gli fa compagnia. Guarda le Olimpiadi con passione. Ma anche la Sanremo. Palpita per la Ferrari e per Valentino Rossi. Segue perfino la Coppa del Mondo di sci. Vede i film di notte. Recupera il pomeriggio, dormendo tre ore. Non si è mai lasciata piegare dai colpi del Fato: il nipote Luigi, direttore del Policlinico di Milano, fu assassinato dalla Brigate Rosse nell’81. «Non me la sono mai presa. Per questo ho campato tanto», dichiara. Amando la buona tavola e il buon vino, dice: «Per morire bisogna vivere soddisfatti». Carla Marangoni è una nipotina di Epicuro.