MilanoFinanza, 13 novembre 2015
Se i Paesi del Golfo tagliano gli statali. Il crollo del petrolio sta intaccando i bilanci governativi. Così finiscono nel mirino i dipendenti pubblici, che sono troppi e fanno poco
Nel tentativo di dare sollievo ai bilanci pubblici, visto il calo dei proventi da petrolio, i Paesi del Golfo Persico stanno prendendo di mira i cosiddetti «sofa men». In tutta l’area i dipartimenti governativi e le società sostenute dallo Stato sono stati a lungo una fonte di lavoro rassicurante con retribuzioni più che rassicuranti.
Il numero di dipendenti pubblici generalmente supera la mole di lavoro da sbrigare, dando luogo a gonfie retribuzioni e uffici pieni di uomini che passano le giornate a poltrire sui divani. Un consulente che collabora con i ministeri sauditi ha riferito di aver visto decine di giovani che gironzolano tutto il giorno per le sale d’aspetto senza una chiara responsabilità all’infuori di portare documenti da un ufficio all’altro. Un ex dipendente di un ente governativo degli Emirati Arabi Uniti che si occupa dell’emissione di debito ha riportato che i dipendenti trascorrono le loro giornate a guardare la televisione o a dormire. L’ufficio non avrebbe completato neanche una pratica in diversi anni.
Il problema non è passato inosservato. Il numero uno del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, ha commentato che, visti i relativi vincoli fiscali, i Paesi del Golfo dovrebbero fare di più per spostare il focus della crescita verso il settore privato. «È necessario un impegno costante per incoraggiare i cittadini a cercare lavoro nel settore privato e affinché le imprese li assumano», ha affermato domenica scorsa a Doha dopo l’incontro con i banchieri centrali e i ministri delle Finanze della regione.
Lo sceicco Sabah Al Ahmad Al Sabah, emiro del Kuwait, il 27 ottobre scorso ha informato l’Assemblea Nazionale che le entrate statali si sono ridotte del 60% a causa del crollo del greggio e ha richiesto un’azione rapida finalizzata al taglio della spesa pubblica e ad affrontare «i difetti della nostra economia nazionale», ma non ha approfondito oltre.
Un mese prima il Bahrain ha divulgato il progetto di fusione di diversi ministeri e organismi governativi nel tentativo di risparmiare fondi e migliorare l’efficienza. Il primo ministro Khalifa bin Salman Al Khalifa ha spiegato che la decisione è stata presa «per far fronte alle sfide economiche» puntualizzando che è probabile un ulteriore consolidamento. Non ha parlato esplicitamente di tagli dei posti di lavoro, un argomento decisamente più delicato a livello politico in tutta la regione. L’aumento della disoccupazione, in particolare tra i giovani, aveva alimentato i disordini della Primavera Araba del 2011 e aveva portato al collasso dei governi di Tunisia ed Egitto. Poco dopo i Paesi del Golfo hanno investito miliardi di dollari in ammortizzatori sociali, incluso l’aumento dei salari nel pubblico, al fine di anticipare nuove proteste.
Nel Golfo gran parte del lavoro manuale viene svolto da lavoratori stranieri, principalmente provenienti dall’Asia. Sono stati introdotti programmi di nazionalizzazione con quote fisse per la sostituzione degli stranieri. Tuttavia l’assunzione di locali si è dimostrata difficile, in parte perché molti rifiutano occupazioni da tute blu o si aspettano salari allineati a quelli governativi. I Paesi del Golfo stanno cercando da anni di promuovere l’attività del settore privato nel tentativo di diversificare le proprie economie dall’oro nero. Ma, in presenza di proventi petroliferi ancora elevati, la questione non appariva urgente. Ora, con i prezzi del petrolio in ribasso, si trovano sottoposti a una rinnovata pressione. Negli Emirati Arabi Uniti, Dubai e Abu Dhabi nell’ultimo paio d’anni sono stati istituiti fondi a sostegno delle startup, ma non è stato reso noto il numero di domande ricevute. Nel 2013 il Kuwait ha promosso un programma di sostegno alle piccole e medie imprese, che però è stato attivato solo quest’anno. Inoltre è sul punto di introdurre un’iniziativa per garantire ai dipendenti pubblici che lasciano il posto per avviare un’impresa o per lavorare in una società privata la possibilità di riavere indietro il vecchio posto di lavoro entro tre anni. Ciò andrebbe a completare un altro programma che offre sussidi salariali temporanei destinati a chi lascia un posto governativo per lavorare nel privato con una retribuzione inferiore. Tuttavia il governo non ha fornito statistiche su come le varie iniziative stiano procedendo. Tra i beneficiari, Mohammad Almunaikh quest’estate ha abbandonato un posto di alto livello nel fondo sovrano del Kuwait per avviare un’attività in proprio nel settore delle applicazioni mobile. Non è ancora chiaro se avrà successo; il suo è stato una sorta di salto nel buio sulla spinta dell’esasperazione verso un settore pubblico in cui «i dipendenti vengono premiati principalmente per la partecipazione» piuttosto che per il merito. «Arrivi alle 8 e alle 15 te ne puoi andare», ha raccontato.
Stando ai dati ufficiali, l’84% della forza lavoro del Kuwait è rappresentata da impiegati governativi; si tratta di una percentuale abbastanza normale per la regione a fronte del 21% medio che si rileva nei Paesi dell’Ocse, anche se la definizione di settore pubblico nel Golfo è diversa.
Sempre in base a dati ufficiali, in Arabia Saudita il peso del monte-salari dei dipendenti pubblici sulla spesa pubblica complessiva è in calo rispetto al 30% del 2007 e tanto più al 40% che si registrava nel 2007. Il calo percentuale tuttavia è dovuto in gran parte al forte aumento nella spesa pubblica complessiva degli ultimi anni di voci quali le infrastrutture, l’istruzione e il welfare. Inoltre la sicurezza occupazionale di cui godono i lavoratori del pubblico impiego scoraggia molti dal mettersi in proprio. Secondo una recente indagine, solo lo 0,1% della popolazione del Kuwait è composto da lavoratori autonomi. «La mentalità è il più grande problema che stiamo incontrando: il 95% dei giovani crede che una carriera nell’apparato pubblico sia una sicurezza», ha commentato Neda al-Dehani, che si occupa di consulenza all’avviamento di startup in Kuwait. Peraltro tutti questi vantaggi contribuiscono a generare un senso di lealtà. Nonostante le offerte di lavoro del settore privato, Mohammed Albasry non se l’è sentita di lasciare dopo più di due decenni nella statale Kuwait Oil e spiega: «Amo questa azienda come una delle mie figlie; mi ha dato tutto».