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 2015  novembre 13 Venerdì calendario

La Cina non presta più soldi. Da 1.050 miliardi di yuan (circa 153 miliardi di euro) concessi a settembre si è passati a 513,6 miliardi a ottobre

I tentennamenti dell’economia cinese si riflettono nel crollo dei prestiti bancari, ai minimi da 15 mesi. A ottobre l’ammontare delle nuove erogazioni si è dimezzato rispetto al mese precedente. Dai 1.050 miliardi di yuan (circa 153 miliardi di euro) concessi a settembre si è passati a 513,6 miliardi. Il calo nel corso dell’ultimo trimestre dell’anno rispecchia un trend già visto in passato, ma i nuovi prestiti sono tuttavia inferiori al consenso. In flessione sono anche gli impieghi del social financing, una misura alternativa di finanziamenti all’economia reale. A ottobre il flusso è stato di 467 miliardi di yuan rispetto ai 1.300 miliardi del mese precedente. L’andamento del credito è in linea con i segnali di debolezza emersi in settimana con la pubblicazione del dato sull’inflazione, sotto le attese, e la flessione sia dell’export sia degli investimenti aziendali. Nell’ultimo bollettino di politica monetaria la People’s Bank of China ha però messo in guardia in merito ai pericoli derivati dall’inondare di eccessiva liquidità il mercato. Nell’ultimo anno l’istituto guidato dal governatore Zhou Xiaochuan è già intervenuto tagliando per sei volte i tassi di interesse e riducendo il coefficiente di riserva. Gli analisti si attendono tuttavia altre misure di stimolo. Anche se, secondo Craig Botham di Schroders, si può essere, se non ottimisti, almeno rassicurati dal fatto che le cose non stanno andando tanto peggio di quanto dicano i dati. «Imprese, analisti e funzionari sono stati chiari sulle diverse sfide da affrontare, ma sono poche le prove di una crisi in corso. Mentre l’attività economica attuale sembra reggere, continuiamo a preoccuparci per gli anni a venire, a causa di alcuni fattori», spiega l’economista.
Intanto però sul fronte bancario altri segnali d’allarme arrivano da Moody’s. L’agenzia di rating mette in evidenza l’eccessiva crescita delle attività di «credito ombra» collegate al mercato delle obbligazioni. Si tratta di operazioni fuori dai fogli di bilancio convenzionali, che non ricadono sotto la regolamentazione della banca centrale e che rischiano di mettere sotto pressione la liquidità delle banche. Ad assumersi i maggiori rischi sono gli istituti commerciali, in particolare quelli di medie dimensioni. Intanto sono almeno otto le banche locali (l’ultima in ordine di tempo è la Bank of Xian) pronte a fare domanda di ipo sui listini cinesi e di Hong Kong in cerca di nuovi capitali. (riproduzione riservata)