ItaliaOggi, 13 novembre 2015
Elogio degli uomini liberi, quelli che, come Mazzucca, camminano con la schiena dritta, «postura di un mondo che fu»
Tempo fa lessi il saggio di Giancarlo Mazzuca «Indro Montanelli, uno straniero in patria», colpito cominciai a scrivere questo Cameo, poi Giancarlo divenne consigliere di amministrazione Rai, fui in imbarazzo, lo misi da parte, come fosse un «semilavorato»; in effetti, lo era. Mi ha colpito la capacità di Mazzuca di scriverlo come fosse un cronista di strada, come quei giapponesi celebri che quando sono con il padre rimangono un passo indietro, per un atavico senso di rispetto e di riconoscenza di averlo messo al mondo. Mazzuca ha messo in fila, in modo geniale, una serie di aneddoti, si capisce che sono vissuti in prima persona, non riportati, ne esce un ritratto straordinario, un olio su tela, riferibile, mi è parso, alla corrente pittorica del «puntinismo».
Ricordate il pittore francese Seurat, quello che basandosi sul principio della scomposizione del colore nei suoi elementi basici, applicò alla pittura i principi ottici di Chevreul? Ebbene, Mazzuca ha applicato lo stesso approccio alle parole di Montanelli, sono andato a riprendere tra i miei libri i «Controcorrente 1974-1986 (Mondadori)», li ho accoppiati con gli aneddoti di Mazzuca, ne è venuto fuori un affresco «puntinista», dove Montanelli giganteggia, non solo per la sua unicità di giornalista, ma per gli uomini che a lui hanno fatto riferimento. Uomini liberi, e tali rimasti.
Per gran parte della mia vita ho fatto il Ceo, un mestiere oggi assolutamente sopravvalutato, proprio la stampa, mi spiace dirlo, quella intellettualmente più alla moda, quindi becera, li racconta come fossero principi rinascimentali, mentre, gran parte di loro, sono loschi individui, spesso «rifatti».
Ebbene, quando mi chiedono, giudizi sull’uno o sull’altro di costoro, la mia risposta è sempre la stessa: attendiamo un paio d’anni dopo che avranno lasciato la posizione, poi andiamo a vedere che fine hanno fatto i loro collaboratori di primo livello.
Di norma, costoro scompaiono, i più disperati si buttano in politica, altri vivono di ricordi, come sempre succede agli yes men, si convincono che hanno vissuto la vita del loro boss, mentre in realtà sono stati semplici servi. Così non è stato per i collaboratori di Montanelli, i Cervi, i Mazzuca, i Travaglio, tutti umanamente diversi, nulla in comune fra di loro, se non un’altissima professionalità, e la schiena dritta, postura di un mondo che fu.
L’imprinting della figura di Montanelli la ritrovi nel Dna professionale che lui riuscì a diffondere nel momento in cui lasciò il Giornale, quando Berlusconi scese in campo: «Se scrivo bene di te sarò un servo, se ne scrivo male un ingrato». Montanelli non è mai stato un piatto unico, peggio un piatto degli attuali celebri chef tutta fuffa e chiacchiere, mai fu pietanza, sempre e solo condimento. Giancarlo Mazzuca, che mai fu chef (sarebbe offenderlo), ma grandissimo cuoco, ha scritto un libro da piluccare, secondo l’estro del momento, quando il palato lo richiede. Grazie, Giancarlo, per quelli di noi che amano l’alta cucina (povera) italiana.