Il Sole 24 Ore, 13 novembre 2015
Janet Yellen, ovvero l’arte di parlare senza dir nulla, ma facendo comunque danni. Senza più una regola di politica monetaria, la Fed sta destabilizzando i mercati finanziari e l’economia statunitense
Se parlare senza dir nulla può essere considerato un’arte, la presidente della banca centrale americana (Fed) Janet Yellen può essere reputata un’artista. Se però non dire nulla provoca danni, l’artista, anche se simpatico, colto e affabile, diventa discutibile. Se poi i danni colpiscono senz’altro i mercati finanziari e le aspettative dell’economia, e forse anche l’istituzione in cui l’artista lavora, siamo di fronte ad un capolavoro alla rovescia, di cui si farebbe volentieri a meno.
Non passa giorno che la Fed non scriva un nuovo capitolo del libro su cui si spiega come definire una strategia della politica monetaria che possa danneggiare nel contempo i mercati finanziari, le scelte dell’economia reale, l’economia internazionale, ma anche rischiare di compromettere la sua stessa reputazione e l’indipendenza. Una strategia che può essere ottimale solo dal punto di vista opportunistico della burocrazia che governa quella istituzione monetaria.
Anche ieri all’attesa di una dichiarazione della presidente della Fed sui futuri passi della politica monetaria Americana è stata attribuito un ruolo negativo nello spiegare I cattivi risultati dei mercati finanziari internazionali. Questa è oramai una non notizia. Gli annunzi legati alle prossime mosse della Fed assomigliano per certi versi ad un balbettio – un detto e non detto che oscura il messaggio – e per altri versi ad un frastuono – dichiarazioni contraddittorie dei diversi esponenti del direttorio monetario statunitense. Dunque un frastuono a singhiozzo sulla politica monetaria, che per di più viene prodotto da una banca centrale che è istituzionalmente vulnerabile sia alla pressione dei politici che a quelle della finanza. Il risultato non può che essere pessimo.
Per quanto difficile sia definire sempre e comunque la politica monetaria ottimale, esistono alcuni pilastri dell’architettura di come si deve comportare la banca centrale di un Paese avanzato che non possono essere abbattuti, se non con rischi di crolli.
Il primo pilastro è quello che l’efficacia complessiva di una banca centrale nella stabilizzazione del ciclo macroeconomico dipende dalla sua capacità di orientare le aspettative dei mercati finanziari e dell’economia reale. Una banca centrale deve riuscire a stabilizzare le aspettative di una ripresa economica regolare, sia in termini reali che nominali.
Ma la stabilizzazione delle aspettative sarà più probabile – ed è il secondo pilastro – se la strategia di politica monetaria è coerente con una regola di comportamento. La regola di comportamento definisce una fisionomia credibile e coerente di obiettivi e degli strumenti della politica monetaria. Coerenza e credibilità devono basarsi su una buona governance, che è il terzo pilastro, nell’ambito della quale devono muoversi tecnocrati con scelte e preferenze – il quarto pilastro – che siano in linea con la strategia monetaria.
La banca centrale ha un problema strutturale, che è precedente alla Grande Crisi iniziata nel 2008: il terzo pilastro, quella della governance, è relativamente debole: il grado di indipendenza istituzionale della Fed dalle potenziali pressioni della politica e della finanza non è ai massimi livelli. In alcune fasi storiche – si pensi all’uscita dalla Grande Inflazione degli anni ’70 – la debolezza del terzo pilastro è stata più che compensate dalla qualità della tecnocrazia in azione. Con un quarto pilastro particolarmente robusto – si pensi all’azione del presidente Volcker – si è irrobustito il secondo pilastro – la strategia – con effetti positive e duraturi sul primo – le aspettative. Lo stesso discorso può essere fatto per la strategia della Fed di Bernanke di gestione della crisi finanziaria del 2008: di fronte ad un cambio delle priorità – la stabilizzazione macroeconomica veniva sostituita dalla stabilizzazione finanziaria – scelte di politica monetaria coerenti e credibili davano un contributo verosimilmente fondamentale per attenuare I costi che la doppietta crisi finanziaria – recessione economica potevano infliggere all’economia, americana e mondiale.
Tra i periodi bui dei quattro pilastri monetari va per ora senz’altro inserito quello della presidenza Yellen. La Fed non ha più una regola di politica monetaria. Ne conseguono danni per i mercati finanziari e le economie reali. Non basta: l’assenza di regole indebolisce la Fed nei confronti delle montanti pressioni della politica – leggi desideri repubblicani di controllo della politica monetaria – e della finanza – leggi crescente insofferenza nei confronti della ri-regolazione finanziaria – nonché il loro combinato disposto. La perdurante assenza di regole monetarie finisce per essere funzionale alla fisiologica tendenza dei banchieri centrali all’inerzia monetaria ed alla conservazione dello status quo. Tendenza che può procurare vantaggi di breve periodo, ma con rischi crescenti, fino – come in questo caso -all’autolesionismo. Il ritorno alla regole farebbe bene a tutti, anche alla Fed, soprattutto per evitare di confermare le sempre valide regole di Carlo Cipolla sulla (non) intelligenza umana.