La Stampa, 13 novembre 2015
Come reagì Proust quando gli pubblicarono per la prima volta un articolo
Pensavo a un articolo che avevo inviato già da molto tempo al Figaro, e di cui avevo pure corretto le bozze; in seguito ogni mattina avevo sperato di trovarlo sul giornale, poi avevo smesso di sperarlo. E mi domandavo a quel punto se valesse la pena scriverne altri. Quando riaprii gli occhi, il giorno aveva fatto la sua comparsa. Subito dopo udii che in casa tutti si stavano alzando. Le otto era l’ora in cui la mamma sarebbe entrata per darmi la buonasera (avevo già preso l’abitudine di non dormire che di giorno, mi addormentavo dopo l’arrivo della prima posta della giornata).
Ben presto entrò anche la mamma. Non c’era bisogno di esitare quando si voleva capire che cosa stava facendo. Siccome durante tutta la sua vita non ha mai pensato una sola volta a sé stessa, e siccome il solo fine delle sue più piccole azioni come di quelle più grandi è sempre stato il nostro bene, e, a partire dal momento in cui mi sono ammalato, e in cui si è dovuto rinunciare al mio bene, a quel punto il suo fine è diventato il mio piacere e il mio sollievo, era abbastanza facile, con questa chiave che ho posseduto fin dal primo giorno, indovinare le intenzioni dei suoi gesti e scorgermi in cima a esse.
Quando vidi, dopo che lei mi ebbe dato il buongiorno, il suo viso assumere un’aria di distrazione, d’indifferenza, mentre posava Le Figaro vicino a me – ma così vicino che non potevo fare un movimento senza vederlo -, quando la vidi, subito dopo averlo fatto, uscire precipitosamente dalla camera con una foga inconsueta, come l’anarchico che ha piazzato una bomba, e spingere via nel corridoio la mia vecchia governante che stava entrando proprio in quel momento e che non comprese che cosa stava accadendo di così prodigioso nella camera, a cui non doveva assistere, capii immediatamente ciò che la mamma aveva espressamente voluto nascondermi, e cioè che l’articolo era uscito, che non mi aveva detto niente per non rovinarmi la sorpresa, e che non voleva che nessuno fosse là a turbare la mia gioia con la sua presenza, o solamente obbligarmi a dissimularla per pudore. (…)
Aprii il giornale, e guarda! Ecco un articolo sul mio medesimo argomento: ma no, è inammissibile, proprio le stesse parole! Dovrò protestare. Ma come! Ancora le medesime parole, la mia firma… È il mio articolo! Per un secondo, tuttavia, il mio pensiero, sviato dalla velocità acquisita e forse già un po’ affaticato a quest’ora, continua a credere che non sia lui, come i vecchi che continuano un movimento già iniziato, ma velocemente ritorno all’idea, è il mio articolo. (…)
Prima di andare a letto, desideravo sapere come era parso il mio articolo alla mamma:
«Félicie, dov’è la signora?».
«La signora è nel suo stanzino da toilette, la stavo pettinando. La signora credeva che il signore stesse dormendo».
Approfitto del fatto che sono ancora alzato per entrare nella stanza della mamma, dove il mio arrivo, a un’ora simile (l’ora in cui abitualmente sono appena andato a letto e mi sono addormentato) è del tutto imprevisto. La mamma è seduta davanti alla sua toilette, con una gran vestaglia bianca, i bei capelli neri sciolti sulle spalle.
«Chi vedo, il mio ragazzo a quest’ora?».
«Bisogna che il mio padrone abbia preso la sera per la mattina».
«No, ma il mio ragazzo non avrà voluto andare a letto senza aver parlato del suo articolo con la sua mamma».
«Come lo trovi?».
«La tua mamma, che non ha studiato nel Grand Cyre, lo trova molto bello».
«Vero che il passo sul telefono non è male?».
«È bellissimo, come avrebbe detto la tua vecchia Louise, non so dove questo bambino va a trovare tutte queste cose, di cui non ho ancora sentito parlare, io che sono arrivata alla mia età».
«No, ma seriamente, se tu lo avessi letto senza sapere che era mio, lo avresti trovato bello?».
«Lo avrei trovato bellissimo, e avrei creduto che fosse di qualcuno molto più intelligente del mio pappagallino, che non è in grado di dormire come fanno tutti e che a quest’ora se ne sta nella stanza della sua mamma in camicia da notte. Félicie, fate attenzione, mi state tirando i capelli…».
«Aspetta, ancora una cosa; supponiamo che tu non mi conosca, che tu non abbia saputo che in questi giorni doveva esserci un mio articolo; credi che lo avresti visto? A me pare che quella parte lì del giornale non la legga nessuno».
«Ma tonterello mio, come vuoi che non la vedano? È la prima cosa che si vede aprendo il giornale. Ed è un articolo di cinque colonne!».