la Repubblica, 13 novembre 2015
Arriva il nuovo disco di Adele. Intervista
«Difficilissimo. Dopo tanti anni, mi sono trovata a scrivere cose di cui non mi sarei mai ritenuta capace. Forse ho preso confidenza col mestiere, ma questa volta mi sono appoggiata sulla voce, che è diventata più potente, più versatile, non so se a causa dell’età, della maternità o dell’intervento alle corde vocali che ho subito tre anni fa. Lo ammetto, sono fiera della mia voce in questo nuovo disco, non lo ero altrettanto nei due precedenti. Ci ho messo un po’ a riacquistare l’equilibrio necessario per rimettermi a lavorare dopo il parto, una madre vuole stare accanto al bambino h24. Non c’è stato un momento in cui sia entrata in studio con una canzone pronta, buona la prima. Mi fido del mio team, se li vedo storcere la bocca si ricomincia da capo. Ci copriamo a vicenda, sì insomma, se salvi il mio culo salvi anche il tuo».
Non è facile crescere in pubblico, soprattutto in un periodo cruciale come dai 19 anni in su.
«C’è il rimpianto di essermi persa un pezzo di vita. Ok, la mia carriera non interferisce sulla vita privata, non l’avrei mai permesso, ma è pur vero che non ho potuto fare quel che tutti fanno, andare al pub, conoscere qualcuno, innamorarsi, sposarsi, avere una famiglia, fare il mutuo per la prima casa. La normalità è diventato un optional di lusso. Io ho cercato in tutti i modi di rispettare questo percorso, di diventare adulta piano piano, di fare ogni cosa al momento giusto. Ecco il senso di questi quattro anni d’assenza. Dovevo riprendermi quel pezzo di vita, il momento in cui quelli della mia età si staccano dalla famiglia. Volevo avere un bambino – e adesso so quanto accidenti è bello e quanto importante sia che abbia buoni guardiani: genitori, nonni, parenti vari. Molte canzoni riflettono la malinconia per quell’intimità tra gli amici che si disintegra quando hai una famiglia, gli impegni si fanno più pressanti e la vita più esigente. La perdita dell’innocenza? Direi più la tristezza di entrare nell’età adulta».
All’epoca del suo esordio ci disse: la popolarità mi terrorizza.
Si è rappacificata col mostro?
«All’epoca Amy Winehouse era il mio idolo, non la conoscevo, non ero sua amica, ma ero devastata per lei. Vedevo il suo immenso talento in balia di tabloid, paparazzi, fan, impresari spregiudicati – tutta gente che vuole, vuole, vuole, esattamente quel che poi sarebbe capitato anche a me. La differenza è che io non ho mai voluto vivere una vita da star: non mi piace, non mi diverte. Vi do la mia fottuta musica, il resto sono cazzi miei».
Come si sentì quando nel 2011 trovarono Amy morta?
“21” era uscito da poco, l’attenzione in un lampo sarebbe stata tutta per lei.
«Come si sentirono i fan quando Jimi, Jim o Janis morirono. Avevo visto qualche filmato su youTube in cui Amy era in uno stato spaventoso, e nonostante tutto continuava a cantare. Piangevo davanti a quelle immagini, me lo sentivo che sarebbe finita male. Superato il dolore, la cosa più triste è stata non poterla più ascoltare, ha inciso così poco. C’è anche un risvolto terribile e morboso in queste tragedie, la gente ha cominciato a considerarle parte dell’intrattenimento, come se quei poveretti si ammazzassero o sacrificassero sotto i riflettori per il loro piacere. Come chi si ferma a guardare un incidente stradale in cerca di un corpo spappolato o una testa mozzata, il tipo di gente che sghignazzava quando Amy ubriaca barcollava sul palco, per intenderci».
Come fa lei a mantenersi in equilibrio? Yoga? Meditazione?
«Non ne ho il tempo, ci pensa Angelo. Mi mette in riga, mi controlla, ristabilisce la pace interiore. Odia quando gli altri mi chiamano Adele: si chiama mamma, protesta».
Nel nuovo disco ci sono canzoni tremendamente malinconiche che non tradiscono la sua reputazione di miss cuorinfranti. C’è sempre la paura in agguato, anche in un rapporto stabile?
«C’è una canzone, Water under the bridge, che parla proprio di questo. Il mio compagno è forte, tenero, comprensivo, amorevole, cose che non ho mai avuto tutte insieme in una relazione. Nessuna storia è perfetta, non è facile neanche la nostra – s’immagini, col mio lavoro – ma non voglio… ho il terrore che diventi terribile, spiacevole, cattiva; ne so qualcosa, e quanto fa male».
Tanto successo, ma non ha ancora affrontato un tour mondiale. «Vorrei spavaldamente dirle di sì. In studio sono un fottutissimo demonio, la mia voce non ha freni, posso andare avanti per ore. La platea invece m’innervosisce, perdo il controllo della voce, ho il terrore di rimanere senza».
Altre paure ricorrenti?
«Non essere creduta; che la gente ascolti le mie canzoni e non le trovi autentiche. Perdere l’amore e sentirmi infelice, sola, triste, abbandonata. Non andare al passo coi tempi, adesso che tutto corre così in fretta, e di essere rispedita al mittente, nella vecchia casa di Tottenham».