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 2015  novembre 13 Venerdì calendario

La nuova musica deve contenere un gancio che ogni sette secondi risvegli l’attenzione dell’ascoltatore

U na volta alla vigilia dell’uscita di un album di un cantante famoso i fan si chiedevano come sarebbero state le canzoni, se il loro artista preferito li avrebbe sedotti con un disco classico o li avrebbe sorpresi con qualche novità dirompente. Nell’era della musica digitale è cambiato anche questo: il 20 novembre uscirà il nuovo disco di Adele ma in molti, più che sulla qualità dei brani, si interrogano sulle modalità del loro rilascio. La cantante inglese renderà le sue canzoni disponibili in streaming su Spotify e altre piattaforme come Apple Music? O i fan, almeno all’inizio, dovranno pagare il prezzo dell’album acquistato come cd o con un download ?
   Oltre ai fan se lo chiede, ovviamente, l’industria della musica, ancora scossa dalla sortita di Taylor Swift che l’anno scorso ha abbandonato Spotify e poi ha attaccato anche Apple Music che non voleva pagare i diritti durante il periodo di utilizzo in prova del suo nuovo sito streaming. La Swift l’ha spuntata, Apple ha fatto marcia indietro e, anzi, alla fine è diventata partner della cantante americana (l’album «1989» è solo sulla sua piattaforma). Adele non attua strategie altrettanto aggressive, ma l’attesa è ugualmente spasmodica anche per le sue scelte commerciali.
   Del resto oggi cantanti e cantautori devono essere sempre più, oltre che poeti e voci ispirate, anche mattatori ed esperti di mixage digital-finanziario. Per capirlo basta sfogliare The Song Machine, il libro sulla fabbrica della musica appena pubblicato negli Usa da John Seabrook del New Yorker. Tutto ruota attorno alla costruzione a tavolino di un numero limitato di hit s: brani popolari di grande successo che devono sfondare ovunque – nell’ascolto domestico, negli show televisivi, nei concerti, al cinema, come colonna sonora di eventi sportivi – e che, coi loro incassi, tengono in piedi l’intera industria, compresa la musica colta, prodotta in perdita. Una chiara smentita, almeno nella musica, delle tesi basate sulla teoria della «coda lunga» del «guru» Chris Anderson secondo il quale la tecnologia digitale, ubiqua e a basso costo, consente di rendere redditizi anche prodotti intellettuali richiesti in piccolo numero da pochi utenti. La long tail, un vangelo nella Silicon Valley, nel mondo della canzone non funziona: l’artista deve spettacolarizzare tutto, la scrittura dei brani va fatta piegando l’uso della lingua agli studi di mercato e la musica deve contenere un «gancio» che ogni sette secondi catturi l’ascoltatore: tanto dura la nostra attenzione per un nuovo brano.