Corriere della Sera, 13 novembre 2015
Berlusconi torna in tv e dice che nel Patto del Nazareno era inclusa la modifica della legge Severino. Smentiscono tutti
roma «Assolutamente sì», dice. «Faceva parte dei patti». Basta che Bruno Vespa gli chieda dei contenuti del vecchio accordo politico col Pd di Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, accomodato sul divanetto bianco di Porta a porta, apre un Nazarenoleaks. Mettendo a verbale che «la legge Severino», la stessa che aveva portato alla sua decadenza da senatore, la stessa che in queste ore sta inguaiando Vincenzo De Luca e il Pd, doveva essere modificata. E che c’era la parola di tutti i contraenti perché questo avvenisse.
Nel giro di poche ore smentiscono sia Renzi che Lorenzo Guerini. E anche l’ufficio stampa di Forza Italia manda una precisazione alle agenzie. Nessuna modifica inclusa nel patto, scrive Deborah Bergamini, ma quell’accordo «comportava la legittimazione reciproca delle forze che lo avevano promosso». Legittimazione «incompatibile con una cattiva interpretazione retroattiva, tutta politica, della legge Severino».
Ma la sostanza dell’attacco ad alzo zero dell’ex premier su Palazzo Chigi rimane. E apre numerosi interrogativi su una legge che, se modificata, avrebbe cambiato la storia recente. Berlusconi ruppe il patto del Nazareno perché, dopo l’elezione di Mattarella, temeva che anche la Severino sarebbe rimasta intatta? Oppure, visto che formalmente è stato lui a sfilarsi dall’abbraccio col Pd dopo il voto per il Colle, ha voluto sacrificare la modifica della legge sull’altare del rientro nei ranghi dell’opposizione? Mistero. Sta di fatto che in entrambi i casi, a prendere per buona la versione berlusconiana, quella modifica avrebbe rivoluzionato il quadro politico. Il caso De Luca, per dirne una, non sarebbe mai nato.
Nel giorno del suo rientro in tv, Berlusconi disegna su se stesso l’identikit dell’uomo «chiuso in prigione da tre anni a Roma a lavorare», senza nemmeno la possibilità di passeggiare per l’amata via dei Coronari. La speranza che la Corte di Strasburgo gli restituisca la possibilità di candidarsi è sempre viva. Anche se – dice – «qualche manina ha spostato la sentenza da ottobre a maggio». E il cruccio di ottenere la maggioranza assoluta dei consensi, anche se questa volta declinato in certezza, è sempre lo stesso. «Sono convinto», scandisce, «che alle politiche possiamo puntare al 51 per cento». Già, ma «possiamo» chi? Non Diego Della Valle che, giura l’ex premier dopo averci parlato, «non ha intenzione di diventare un protagonista della politica». Semmai quel tridente, da FI a Fratelli d’Italia passando per la Lega, che Berlusconi farà di tutto per veder schierato contro Pd e M5S. E peccato che nel descriverne i leader, l’ex premier finisca per pronunciare il nome di Renzi («Meloni porterà la determinazione, io la creatività e Renzi la grinta») al posto di quello dell’omonimo Salvini. Il leader? «Vedremo col tempo chi sarà».
Il resto, comprese le critiche appena accennate nei confronti di Mattarella («Finora non ha dato segni incisivi»), sono i flash della sua eterna campagna elettorale. «Renzi sta copiando il nostro programma e lo fa male», «Renzi è un vecchio democristiano giovane d’età», «la vittoria dei Cinquestelle sarebbe un pericolo grave per gli italiani», «i sondaggi di FI non mi preoccupano», «con la Merkel c’è un rapporto cordiale. Non ho niente da farmi perdonare, lei qualcosa sì». Unica eccezione la disponibilità a votare col Pd l’abolizione della tassa sulla prima casa. «Io non ho mai detto una bugia», giura Berlusconi citando l’imitazione della Bocca della verità che ha in casa. Poco prima aveva detto che «non è vero che alla manifestazione di Bologna sono stato fischiato».