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 2015  novembre 12 Giovedì calendario

La Corte costituzionale continua a demolire la legge 40 sulla fecondazione assistita. Ieri ha ammesso la diagnosi pre-impianto

ROMA. La diagnosi pre-impianto non è reato. E ora una nuova sentenza toglie gli ultimi dubbi: potranno farla gli ospedali pubblici senza timori, ma di utilizzare gli embrioni malati per la ricerca non se ne parla. Anche se non impiantati, dovranno essere conservati.
Così ha stabilito la Corte costituzionale dando un nuovo colpo alla legge 40, smantellata a colpi di sentenze: 37 in 11 anni, l’unico divieto a rimanere in piedi resta quello per single e gay. La diagnosi pre-impianto per individuare malattie genetiche era infatti autorizzata da sentenze (l’ultima maggio 2015), la facevano i centri privati, alcuni ospedali pubblici sfidando provvedimenti considerati troppo lacunosi dai politici. Ma comunque restava reato e in teoria rischiava condanne e multe il medico che la praticava in base all’articolo 13 sul divieto assoluto di selezione degli embrioni.
Fino a ieri. Quando i giudici garanti della Costituzione hanno affrontato la questione, sollevata dal Tribunale di Napoli, chiarendo una volta per tutte: la diagnosi pre-impianto è legittima, non è un reato e la possono fare coppie sterili e fertili ma gli embrioni anche malati vanno conservati ad oltranza. La sentenza ha provocato accuse di eugenetica da parte dei teocon di Alleanza popolare e qualche delusione nel mondo scientifico che sperava di poter utilizzare gli embrioni per curare e malattie genetiche. La senatrice a vita e scienziata Elena Cattaneo ha infatti commentato: «Con questa sentenza continua l’opera meritoria di demolizione della legge 40 dei suoi troppi aspetti illogici, ascientifici, contro la salute della donna, dei nascituri e la deontologia dei medici. Una legge dannosa sul tema della ricerca scientifica su cellule staminali embrionali umane». Tema sul quale la Consulta sarà chiamata a esprimersi a marzo.
«Affermato il diritto della coppia a selezionare l’embrione con le ultime sentenze, come quella del maggio scorso, non aveva senso lasciare la previsione di condanna penale a carico del medico», commentano gli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini dell’associazione Coscioni. La conseguenza pratica della sentenza è che da oggi i medici saranno più liberi di effettuare la diagnosi pre-impianto sugli embrioni, si dicono convinti gli esperti.
«Speriamo che l’accesso sia effettivamente possibile nel servizio pubblico. Per ora non c’è traccia di ciò né nelle ultime linee guida del 2015 del Ministero della Salute (precedenti alla sentenza n. 96) né nella Lista dei nuovi Livelli essenziali di assistenza», commenta preoccupata l’avvocato Maria Paola Costantini di Cittadinanzattiva auspicando un’ intervento della Lorenzin.