la Repubblica, 12 novembre 2015
«C’è la corruzione dietro la volontà catalana di separarsi. In realtà non hanno neanche i soldi per pagare pensioni e medicine» spiega il filosofo Fernando Savater
BARCELLONA. Sì, reagiscono minacciando di applicare tutta la forza della legge, ma non so come andrà a finire. Non vedo il governo molto determinato». È scettico il filosofo Fernando Savater, da sempre ostile nei confronti di ogni tipo di nazionalismo, da lui definito più volte come uno dei “mali eterni” della Spagna.
Professor Savater, pensa che l’esecutivo centrale avrà difficoltà a imporre la legalità di fronte alla sfida indipendentista?
«Mi preoccupa tutto il contesto. In particolare l’ambiguità dell’Unione europea, che si riferisce a questa questione come se si trattasse solo di un tema interno spagnolo. Cioè, su un’aggressione alla democrazia di uno dei paesi che fanno parte della Ue, gli altri paesi non hanno niente da dire. E allora mi chiedo: a che cosa serve l’Unione? Si suppone che dovrebbe servire ad unire, ma anche a difendere la democrazia all’interno di ciascuno degli Stati membri. Anche questo tipo di atteggiamento consente ai gruppi secessionisti di andare avanti e inasprire il livello della sfida».
La mozione di rottura del Parlamento catalano è stata una prova di forza o una dimostrazione di debolezza?
«Prima di tutto è un tentativo di colpo di Stato, non violento al momento, però neppure pacifico, perché comunque sta forzando lo Stato a prendere decisioni gravi. Gli indipendentisti stanno cercando di vedere, con questa provocazione, fino a che punto si può arrivare, calcolando che l’esecutivo attuale è debole, che l’epoca non è propizia per dimostrazioni molto forti da parte di un governo. In questa specie di mondo post-moderno nel quale ci stiamo muovendo, loro hanno optato per esplorare fino a che punto possono arrivare su questa strada. Più che altro si tratta di una dimostrazione di opportunismo politico».
Uno dei paradossi di questa situazione è che la Catalogna che vuole separarsi dalla Spagna non ha, al momento, un leader: il cammino per la rielezione di Artur Mas si presenta insidioso.
«Non solo non ha un leader: non ha neppure i soldi per pagare le pensioni, o i rimborsi alle farmacie. E poi ha un livello di corruzione che non esiste in nessun’altra parte di Spagna. Lo stesso leader Mas è mal visto da una parte dei suoi compagni di strada, che a ragione lo considerano politicamente responsabile per gli scandali che hanno travolto l’ex presidente Jordi Pujol e i suoi familiari. Una situazione veramente pittoresca».
Però, a cosa si deve tutta questa fretta nell’avvio del processo di rottura con Madrid, in assenza di una maggioranza chiara a favore dell’indipendenza?
«Si deve al fatto che le indagini sulla corruzione hanno subito una brusca accelerazione. Quando il vecchio Pujol faceva quello che voleva con il denaro pubblico, non esisteva nessuna urgenza indipendentista: il separatismo era un movimento quasi folcloristico, residuale. Una volta che la magistratura ha cominciato a scoprire la rete di tangenti che ha coinvolto figure storiche del catalanismo, non hanno avuto altro rimedio che accelerare la battaglia per l’indipendenza».