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 2015  novembre 12 Giovedì calendario

Chi era Francesco Hayez

«Le premier peintre vivant», lo aveva definito Stendhal. «Il genio che ha saputo dar voce alle aspirazioni e alle angosce dell’età romantica, così come Foscolo e Manzoni in letteratura, come Rossini, Donizetti o Verdi in musica», lo riteneva Giuseppe Mazzini. E in effetti quel pittore veneziano ma milanese d’adozione, con la sua opera avrebbe contribuito a creare l’identità culturale del nostro paese, un linguaggio pittorico in cui l’Italia avrebbe potuto riconoscersi, rielaborando le forme del tardo neoclassico alla luce del naturalismo, fondendo il cromatismo e la carica sensuale di Tiziano con la bellezza ideale di Raffaello, che aveva potuto ammirare a Roma, allievo di Canova.
È stata una carriera lunga più di sessant’anni, quella di Francesco Hayez, conteso dai più illuminati collezionisti del tempo, direttore dell’Accademia di Brera, artista capace di rivoluzionare scenografie e soggetti, di interpretare i valori risorgimentali ma anche di sfidare le convenzioni, di raffigurare senza più filtri la vita vera.
A più di trent’anni dall’ultima importante rassegna, è così oggi la grande monografica delle Gallerie d’Italia a piazza della Scala a mettere in luce tutta la complessità della sua arte, in un percorso che intreccia vicende biografiche e creative, opere note e inediti inaspettati.
Dal giovanile Laocoonte del 1812 alle lunette affrescate per Palazzo Ducale a Venezia e mai esposte prima, al Pietro Rossi, manifesto della nuova pittura romantica, alla Maria Stuarda del 1827 e non più vista a Milano, ai Due Foscari, ai tanti, celeberrimi capolavori della maturità, a quel Bacio diventato simbolo stesso della sua arte e qui eccezionalmente presente in tre versioni, tra cui quella del 1861, solo di recente ritornata sul mercato antiquario.
«E proprio quel Bacio, così vero, così sensuale, così evocativo di un sentimento universale, nella passionalità del gesto e nei colori delle vesti rivela un chiaro messaggio politico, l’abbraccio dei due stati che avevano consentito l’unificazione del nostro paese e l’invito all’amore e alla vita per la giovane nazione italiana – sottolinea Fernando Mazzocca, curatore della mostra —. Ma Hayez ha saputo rinnovare anche la pittura di storia, dando un respiro più ampio, una dimensione corale alle sue scene, celebrando non solo le imprese di singoli eroi, ma di un intero popolo in lotta, come nei Profughi di Parga, tema ancora oggi di scottante attualità».
Si è messo per tutta la vita in gioco Francesco Hayez, sperimentando le tecniche e le soluzioni formali più ardite, confrontandosi con i generi più diversi. I ritratti, intensamente interiorizzati e resi con pacato realismo, di Manzoni, di Cristina Belgioioso o di Matilde Juva Branca, di cui sembra aver addirittura catturato l’anima e gli splendidi nudi femminili, il tema a lui più congeniale: le Maddalene, le Odalische, le Ninfe, le tante figure mitologiche rappresentate nella loro sontuosa carnalità e nella provocazione della posa, come in quella Venere che scherza con due colombe, ritratto della ballerina Carlotta Chabert, allora ritenuto assolutamente scandaloso.
Ma il tragico epilogo delle Cinque Giornate di Milano, che porteranno il re di Sardegna Carlo Alberto a dichiarare guerra all’Austria, porterà a un’amara riflessione sulla crisi degli ideali risorgimentali. Così l’inquietudine e il mal di vivere della Malinconia si trasformeranno nella Meditazione del 1851, allegoria indimenticabile di un’Italia dolente, «bella e perduta», non più matrona turrita e paludata, ma giovane donna discinta, a seno scoperto e con la croce in mano.