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 2015  novembre 12 Giovedì calendario

I tre baci di Hayez

Nessun artista possiede la formula magica per creare un’icona. Le strade attraverso cui un’immagine diventa popolare e immediatamente riconosciuta sono laterali, imprevedibili e casuali. Hayez si è imbattuto in una di queste a quasi settant’anni quando, nel 1859, ha dipinto il Bacio, il quadro che l’ha reso più celebre del suo stesso nome. Senza quei due innamorati, Hayez oggi sarebbe probabilmente uno fra i tanti pittori semisconosciuti dell’Ottocento italiano. A Caravaggio o Tiziano è capitato il contrario: i loro nomi sono noti in tutto il mondo, ma nessuna delle loro opere è diventata un’icona pop.
Qual è allora il segreto del Bacio? Innanzi tutto la sua dirompente novità in una catena iconografica che non aveva grandi precedenti, tanto meno di tale audacia, con le labbra dei due giovani che si toccano, le mani del ragazzo che stringono la testa di lei, a sua volta appoggiata alla spalla di lui. Che sia stata proprio tale posa appassionata la chiave del successo è dimostrato da un altro bacio, l’ultimo dato da Giulietta a Romeo, dipinto dallo stesso Hayez nel 1823 e presto dimenticato.
Il nuovo approccio senile al tema del bacio, invece, con gli amanti che indugiano nel piacere, era una scena talmente intensa e vera, non impostata secondo le convenzionali pose accademiche, che divenne subito un’icona, cui poi il cinema o la grafica dei cioccolatini Perugina poterono fare riferimento in modo subliminale. Lo dimostra un quadro di Gerolamo Induno, Triste presentimento, dipinto neanche tre anni dopo, nel 1862, dove una giovane popolana contempla l’immagine dell’amato seduta davanti a un muro su cui sono appesi una stampa del Bacio, una di Pulcinella e, in una nicchia, un piccolo busto di Garibaldi.
Dettaglio importante, quest’ultimo, perché ci conduce alla seconda ragione del successo del Bacio: il significato patriottico, ben chiaro ai contemporanei di Hayez che si era battuto per gli ideali risorgimentali ed era stato consacrato da Mazzini come l’artista profeta della nazione.
Agli storici del XX secolo, invece, questo contenuto politico ritornava evidente via via che si studiavano le diverse versioni del Bacio apparse sul mercato nel 1998 e nel 2008, entrambe battute da Sotheby’s.
La prima tela della sequenza è quella conservata alla Pinacoteca di Brera, dipinta nel 1859 ed esposta all’annuale mostra dell’Accademia tre mesi dopo l’ingresso a Milano di Vittorio Emanuele II e dell’alleato Napoleone III. La parata sotto l’Arco della pace aveva suggellato la liberazione dal dominio austriaco in vista del raggiungimento dell’unità d’Italia.
Il messaggio di amore e di una nuova vita per la giovane nazione italiana sottinteso nel Bacio divenne più chiaro quando, nel 1998, comparve sul mercato di New York la terza versione del Bacio, datata 1867, l’anno in cui Hayez la inviò all’Esposizione Universale di Parigi dove riscosse enorme successo. Gli eredi di Hayez la vendettero alla granduchessa Elena di Russia e poi scomparve per un secolo. In questa tela le varianti più importanti sono il tessuto bianco abbandonato sulle scale e l’interno del mantello del ragazzo, verde bandiera, più acceso rispetto alla prima versione di Brera: l’allusione all’abbraccio fra Italia e Francia diventa così immediatamente più chiaro.
Nel 2008, poi, è ricomparsa anche la seconda versione, firmata e datata «Franc.sco Hayez veneziano fece 1861 di anni settanta», ossia l’anno dell’unificazione d’Italia. E infatti qui l’abito bianco della ragazza sostituisce quello azzurro precedente, un modo per marcare la delusione nei confronti della Francia che, con gli accordi di Villafranca, aveva lasciato il Veneto e la Venezia di Hayez agli austriaci.
L’azzurro ricompare però, come abbiamo visto, nella terza versione del 1867, forse come tributo di cortesia visto che il quadro doveva essere esposto a Parigi.
Il Bacio s’impose dunque da subito come un’icona doppia: politica e sensuale. Lo capirà perfettamente Luchino Visconti che, nel 1954, nel film Senso, metterà nella stessa posa dei due amanti di Hayez la contessa Livia Serpieri e l’ufficiale austriaco Franz Mahler. Lo capiranno tutti i fotografi che coglieranno i baci politici, dal ’68 di Parigi a quello della ragazza no Tav che bacia per sfregio il poliziotto in tenuta anti-sommossa.
La consacrazione di un’icona, infatti, deve passare sempre anche attraverso la sua parodia, la dissacrazione, la manipolazione, la pubblicità. È questa la strada che porta l’opera nel libero territorio dell’immaginario popolare.