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 2015  novembre 11 Mercoledì calendario

Putin, lo zar che ha reso alla Russia un ruolo da grande protagonista mondiale. Un personaggio ancora tutto da scoprire

Me­no di una set­ti­ma­na fa For­bes lo ha po­sto al ver­ti­ce del­la clas­si­fi­ca de­gli uo­mi­ni più po­ten­ti del mon­do. Lo stes­so era ac­ca­du­to nel 2013. Men­tre l’an­no pre­ce­den­te il Ti­me ave­va de­di­ca­to pro­prio a lui la co­per­ti­na, de­fi­nen­do­lo l’uo­mo dell’an­no. Con­si­de­ra­ti gli even­ti di que­sti ul­ti­mi me­si, dal­la Cri­mea al­la Si­ria fi­no all’ab­bat­ti­men­to del char­ter rus­so so­pra i cie­li del Si­nai, il suo pe­so non è si­cu­ra­men­te cam­bia­to. Non pas­sa gior­no in­fat­ti che dai te­le­gior­na­li al­la car­ta stam­pa non sia evo­ca­to il no­me del pre­si­den­te del­la Fe­de­ra­zio­ne rus­sa Vla­di­mir Pu­tin.
A fa­re il pun­to del­la si­tua­zio­ne, gra­zie a un sag­gio go­di­bi­le e ben scrit­to, in­ter­vie­ne ora Gen­na­ro San­giu­lia­no con il suo Pu­tin. Vi­ta di uno zar (Mon­da­do­ri, pp. 288, eu­ro 22). Lo sguar­do è accat­ti­van­te per­ché non in­dul­ge nell’opi­nio­ne main­stream e su quan­to tra­smet­to­no a spron battu­to i gior­na­li oc­ci­den­ta­li. Pren­de­re le di­stan­ze dal­la vul­ga­ta non si­gni­fi­ca na­tu­ral­men­te far­si por­ta­vo­ce di Pu­tin, ma as­su­me­re una pro­spet­ti­va di­sin­can­ta­ta in­ca­sto­nan­do­ne il ruo­lo nell’al­veo del­la sto­ria rus­sa.
San­giu­lia­no sa trop­po be­ne che il «per­so­nag­gio è lon­ta­no dall’es­se­re sto­ri­ciz­za­to, la sua attualità vi­va è pron­ta a ri­ser­va­re sor­pre­se». Ma è pu­re con­sa­pe­vo­le che gra­zie al suo in­ter­ven­to, do­po il crol­lo del po­te­re so­vie­ti­co e il lun­go in­ter­re­gno di Bo­ris El­tsin, quan­do a go­ver­na­re erano ma­fie e oli­gar­chi, la Rus­sia è «ri­di­ven­ta­ta un gran­de pro­ta­go­ni­sta del­la geo­po­li­ti­ca globale, re­cu­pe­ran­do il ruo­lo per­so do­po il crol­lo dell’Urss». Ne­gar­lo, as­si­cu­ran­do che Mo­sca è soltan­to un at­to­re re­gio­na­le in­ca­pa­ce di di­re la sua a li­vel­lo mon­dia­le, equi­va­le a men­ti­re o a nascon­der­si die­tro un fi­lo d’er­ba. E for­se pro­prio il ri­tro­va­to pro­ta­go­ni­smo rus­so po­treb­be essere fo­rie­ro di uno sce­na­rio po­li­ti­co mon­dia­le mul­ti­po­la­re più sta­bi­le di quel­lo ri­ce­vu­to in eredi­tà da vent’an­ni di ege­mo­nia ame­ri­ca­na, igna­via eu­ro­pea e ri­vin­ci­ta eco­no­mi­co-fi­nan­zia­ria ci­ne­se.
Lun­gi da Pu­tin la ca­ri­ca­tu­ra di cui si fa ca­ri­co l’opi­nio­ne co­mu­ne: un al­gi­do kil­ler al sol­do del Kgb ne­gli an­ni del­la Guer­ra Fred­da. Pu­tin non è sta­to que­sto. Na­to nel 1952 a Le­nin­gra­do, la straor­di­na­ria San Pie­tro­bur­go e una del­le cit­tà più mar­to­ria­te dal se­con­do con­flit­to mon­dia­le, sem­bra­va de­sti­na­to a vi­ve­re tut­ta la vi­ta in una kom­mu­nal­ka e a fi­ni­re la sua esi­sten­za da teppista, co­me lui stes­so con­fes­sò in un’in­ter­vi­sta. In­ve­ce, pur estra­neo al­la no­men­kla­tu­ra del par­ti­to e gra­zie all’in­na­ta de­ter­mi­na­zio­ne, rie­sce a en­tra­re nel­la pre­sti­gio­sa Uni­ver­si­tà di Leningra­do e lau­rear­si in Giu­ri­spru­den­za con una te­si in di­rit­to in­ter­na­zio­na­le. Por­ta­to per le lin­gue, non in­con­tra dif­fi­col­tà ad ar­ruo­lar­si nel Kgb fi­no all’in­ca­ri­co che lo tra­sfe­ri­sce per alcuni an­ni a Dre­sda. Il te­mi­bi­le ser­vi­zio se­gre­to so­vie­ti­co non è so­lo un co­vo di spie e as­sas­si­ni so­ler­te nell’eli­mi­na­re i ne­mi­ci del­la ri­vo­lu­zio­ne. È an­che una del­le isti­tu­zio­ne più ef­fi­cien­ti del re­gi­me e la pri­ma ad av­ver­ti­re gli scric­chio­lii del co­los­so so­vie­ti­co e dei suoi al­lea­ti del Pat­to di Var­sa­via. Al suo in­ter­no da tem­po, pri­ma del fa­ti­di­co 1991, aleg­gia­va il sen­to­re del­lo schian­to pros­si­mo ven­tu­ro an­che se for­se si pre­fe­ri­va ri­muo­ver­lo. E il fu­tu­ro pre­si­den­te a que­sto cli­ma non era cer­to estra­neo. «Il mag­gio­re Pu­tin tut­ta­via – ri­ba­di­sce Sangiulia­no – av­ver­te be­ne che il cam­bio epo­ca­le è giun­to». E lo fa pre­sen­te nei suoi rap­por­ti.
Al suo rien­tro a Mo­sca, do­po lo schian­to, le in­co­gni­te so­no mag­gio­ri del­le cer­tez­ze. Ep­pu­re si trat­ta so­lo del­la rin­cor­sa per la sua con­qui­sta del po­te­re. Do­po gli an­ni del di­sor­di­ne na­to dall’inet­ti­tu­di­ne dell’in­ge­gne­re El­tsin, con l’im­pre­vi­sta ele­zio­ne di Pu­tin a pre­si­den­te le vi­cen­de del­la Rus­sia su­bi­sco­no una net­ta tor­sio­ne. La bru­ta­le guer­ra con­tro il ter­ro­ri­smo ce­ce­no, la spaval­da estro­mis­sio­ne de­gli «oli­gar­chi che ave­va­no sac­cheg­gia­to le ric­chez­ze na­zio­na­li», una li­ber­tà di stam­pa non sem­pre tra­spa­ren­te non su­sci­ta­no le sim­pa­tie oc­ci­den­ta­li, ma di cer­to rimet­to­no la Rus­sia in car­reg­gia­ta. Poi ar­ri­va l’af­fai­re ucrai­no, la vi­ta­le que­stio­ne del­la Cri­mea e la guer­ra in Si­ria. E sia­mo all’og­gi, in cui par­te dell’agen­da po­li­ti­ca mon­dia­le vie­ne det­ta­ta proprio da Pu­tin, co­me non esi­ta a ri­co­no­sce­re For­bes. E il di­spia­ce­re a Wa­shing­ton e tra suoi ze­lan­ti al­lea­ti dell’Eu­ro­pa orien­ta­le, sem­pre più rea­li­sti del re, cre­sce a di­smi­su­ra e ad­di­ta nel Gran­de Or­so il nuo­vo ne­mi­co del­la pa­ce. Ep­pu­re for­se non sa­rà co­sì.
Pu­tin non cer­ca di re­stau­ra­re il cli­ma da Guer­ra Fred­da. Ideo­lo­gi­ca­men­te ri­co­no­sce che la «proprie­tà pri­va­ta è un ele­men­to na­tu­ra­le dell’es­sen­za uma­na», ma an­che che la Rus­sia ha una sua iden­ti­tà, co­me ri­ba­di­sce al Fo­rum di Val­dai nel 2013, e dun­que un pro­prio in­te­res­se naziona­le. Non ha mai di­sde­gna­to di guar­da­re a Oc­ci­den­te, e i rap­por­ti con Ita­lia e Ger­ma­nia so­no lì a pro­var­lo, ma se ri­fiu­ta­to non esi­ta a ri­vol­ger­si al Ce­le­ste Im­pe­ro e all’Unio­ne eurasiatica. Og­gi la par­ti­ta è aper­ta, se a pre­va­le­re non sa­ran­no i fal­chi oc­ci­den­ta­li­sti ma de­gli eu­ro­pei rea­li­sti. E per dar lin­fa a que­sti ul­ti­mi oc­cor­re ca­pi­re la Rus­sia, co­me fa con pas­sio­ne ci­vi­le San­giu­lia­no. E so­prat­tut­to ca­pi­re che con Pu­tin es­sa «per la pri­ma vol­ta nel­la sua lun­ga sto­ria, è usci­ta dal­la mi­se­ria, dal de­gra­do uma­no dell’al­co­li­smo e ha mi­glio­ra­to l’aspet­ta­ti­va di vi­ta dei suoi cit­ta­di­ni, tra le più bas­se in Eu­ro­pa nei pri­mi an­ni No­van­ta. Ha crea­to un ce­to medio, una bor­ghe­sia, ri­dot­to la po­ver­tà, ga­ran­ti­to con­di­zio­ni di vi­ta mi­glio­ri per va­sti stra­ti della po­po­la­zio­ne. Se è ve­ro che c’è sta­ta e con­ti­nua a es­ser­ci qual­che con­tra­zio­ne del­le li­ber­tà po­li­ti­che, ai rus­si in­te­res­sa po­co».