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 2015  novembre 11 Mercoledì calendario

Miniere in crisi, disoccupazione al 14%, scontri di piazza: l’economia sudafricana arranca, ma gli imprenditori di Johannesburg non hanno abbandonato vitalità e dinamismo, e investono nei grattacieli

Il 2015 è stato l’anno della crisi generale dell’economia mondiale. Anche il Sudafrica ha risentito di questa situazione che, aggiungendosi ad alcuni gravi problemi interni, ne ha influenzato negativamente economia e sviluppo. Fra i fattori esterni, il primo riferimento va al ridimensionamento del Pil cinese, che ha influenzato tutti i mercati e in particolare il comparto delle “commodities”. Il Sudafrica – che contava sugli introiti delle materie prime, strategiche e non, acquistate proprio dalla Cina – ha così registrato una drastica riduzione delle esportazioni di questi minerali, uno dei punti di forza della sua economia. Al di là della Cina, tutta la congiuntura mondiale ha mostrato segni di un rallentamento globale, che certamente ha pesato sui Paesi in via di sviluppo e, fra questi, quelli facenti parte del Brics (Brasile, Russia, India, Cina e lo stesso Sudafrica).
Proprio il Sudafrica, pur con delle caratteristiche di Paese emergente, è sempre stato considerato un’economia di primo livello, anche per la sua organizzazione bancaria, le infrastrutture e la stabilità politica raggiunta dopo la fine dell’apartheid. Lo conferma anche la misura degli investimenti finanziari che hanno sempre prevalso su quelli produttivi (Fdi) e, pur essendo più mobili e fluttuanti, a seconda dei mercati internazionali, hanno assicurato al Sudafrica una situazione finanziaria tranquilla. Purtroppo le maggiori società di rating hanno rilevato in questi ultimi anni un peggioramento dell’economia, abbassando le classificazioni del Paese. I problemi emersi – disoccupazione, scioperi, bilancia commerciale negativa, svalutazione del Rand, scolarizzazione, elettricità – sono complessi e hanno costretto gli ultimi ministri dell’Economia ad abbassare le previsoni di crescita del Pil fino al 1,5 %.
CRISI DELL’ENERGIA
Peraltro, la caduta delle esportazioni di materie prime ha coinciso con una serie di rivendicazioni dei minatori. Dopo il drammatico epilogo di Marikana, lo sciopero dei minatori del platino della Lomnin – protrattosi per cinque mesi – si è esteso ad altre miniere anche di altri minerali e ad altri settori. Le minori esportazioni e i numerosi scioperi hanno portato a pesanti licenziamenti e riduzioni di personale. Da qui il malcontento e le dimostrazioni, organizzate dai sindacati di categoria, e le proteste nei settori più disparati. Con la disoccupazione a livelli del 14%, e con quella giovanile oltre il 40%, la perdita di posti di lavoro non riguarda solo il settore minerario ma anche quello industriale. A queste problematiche si affianca la crisi nel settore dell’energia elettrica, con enormi conseguenze non solo per l’industria ma anche per i cittadini. La società Eskom, a fronte di una crescente domanda di allacciamenti, si è trovata in forte ritardo nel necessario ampliamento, nella manutenzione e nel potenziamento delle centrali elettriche. Di conseguenza è stata costretta ad adottare tagli continui nelle forniture, colpendo non solo i privati ma anche industrie, commercio e servizi, creando forti contrazioni nella normale attività. Solo il turismo proveniente dall’estero, con una temporanea eccezione dalla Cina, ha continuato a crescere, facilitato dal tasso di cambio favorevole per i visitatori.
In questo contesto, la protesta degli studenti universitari, iniziata qualche settimana fa al grido di «Fees must fall», non si è ancora arrestata, nonostante il presidente Zuma, dopo la affollata manifestazione a Pretoria, avesse assicurato che l’aumento del 6% delle spese universitarie per l’anno accademico 2016 non sarebbe stato effettuato. Risulta ormai evidente che alcune forze politiche si sono inserite, approfittando delle manifestazioni, per rivendicare soluzioni, oltre che per la scuola, anche per la disoccupazione e per una maggiore giustizia sociale e una distribuzione della ricchezza più allargata. Il partito Fft (Economic Freedom Fighters) di Malema, con un affollato raduno davanti al palazzo della Borsa di Johannesburg, ha presentato un documento ufficiale al Chairman, chiedendo una maggiore partecipazione degli africani alle decisioni e ai profitti delle società quotate, un raddoppio di tutte le retribuzioni dei dipendenti, l’accoglimento delle richieste dei minatori e degli altri settori in sciopero. Insoddisfatti delle assicurazioni per le spese universitarie, gli studenti continuano comunque a manifestare in tutto il Paese, chiedendo l’istruzione terziaria gratuita per tutti – «education free for all» – contestando il ministro dell’Istruzione che distingueva fra abbienti e indigenti, per favorire solo i più meritevoli fra questi ultimi. Il dibattito è ora in Parlamento e all’esame del ministro delle Finanze, che nel “Mid term Budget” presentato prima che scoppiasse la rivolta degli studenti non aveva previsto l’urgenza e l’ammontare del costo di queste richieste. D’altro canto, paradossalmente, nel nuovo centro di Johannesburg (Sandton) sono in costruzione più di una decina di nuovi grattacieli di 15 piani e oltre, per uffici e per abitazioni, che dimostrano la vitalità e il dinamismo degli imprenditori locali, della classe dirigente e del governo, che lasciano a ben sperare per il futuro.
Quale l’effetto di questa situazione sudafricana per l’Italia? Nessuno in particolare. Italia e Sudafrica sono partners da tanti anni e hanno da tempo stabilito canali di traffico consolidati nei settori di reciproco interesse. C’è un piccolo numero di società italiane presente stabilmente nel Paese, e ci sono italiani emigrati in Sudafrica cinquant’anni fa che hanno creato bellissime aziende che operano con successo.
RAPPORTI CON L’ITALIA
Ma l’interscambio fra i due Paesi risente di una situazione di partenza differente, che poi si rivela intrinsecamente complementare e quindi destinata a non modificare le posizioni. L’Italia è un Paese trasformatore, in quanto privo di materie prime, mentre il Sudafrica dispone dei minerali e delle materie prime, che servono alla nostra industria. Osservando il periodo 2005-2008, le importazioni dal Sudafrica hanno raggiunto un valore doppio di quello delle nostre esportazioni. Dopo una pausa critica per l’interscambio nel 2009, dal 2010 le esportazioni italiane hanno cominciato a crescere e a ridurre la differenza in valore, fino a registrare nel 2013 addirittura un leggero sorpasso, che ha portato ad un saldo positivo per l’Italia rispetto al Sudafrica. Riuscire a far crescere le nostre esportazioni è molto più importante e utile che non preoccuparsi soltanto di queste evidenze statistiche. Ambasciata, Ita (Ice) e Camera di Commercio Italo-Sudafricana offrono assistenza quotidianamente ad operatori italiani interessati a impegnarsi e ad esportare o a creare joint venture locali.