ItaliaOggi, 11 novembre 2015
Sulla questione di Airbnb e Uber Pop. Quando business e management trovano la loro morte nel «conto economico» e nel rigoroso rispetto delle leggi
Un giornale amico (Il Foglio) e un caro amico, Alberto Mingardi, si sono punzecchiati sull’ipotesi che la share economy (versione Airbnb, affitto di case vacanze) abbia un «lato oscuro». Mi inserisco, in punta di piedi, perché questo è uno dei temi per me più sensibili, ove anche le sfumature mi provocano un profondo turbamento. Da un punto di vista tecnico, il ragionamento di Alberto Mingardi, uno che l’America la conosce sul serio, è ineccepibile, la giungla di regolamenti che a mò di liane aggrovigliano il mercato immobiliare statunitense, diverso per Stati ma nella sostanza simile, è senza dubbio lesivo dei diritti di proprietà. L’analisi del Foglio, altrettanto ineccepibile, ricorda che i cittadini di San Francisco promotori del referendum volevano regolamentare il ruolo di Airbnb limitandolo alle abitazioni adibite alle locazione per periodi brevi, e non a tutte, perché questa mossa sta creando una crescita generalizzata degli affitti (più 17%).
Questa esplosione degli affitti non sta cacciando via la classe povera, da tempo ormai relegata nelle neo-favelas (forma degradata del vecchio slum, ogni epoca del capitalismo ha la sua modalità di raccolta rifiuti, umani) alle quali per ora Airbnb non è ancora interessata, ma espelle la classe media, sempre più vecchia e impoverita (gentrification all’incontrario). Nulla di nuovo, con questo curioso modello politico-economico che ci ritroviamo non può che andare così.
Alcuni, fra i quali i promotori del referendum di San Francisco, ritengono di opporsi alle malefatte di Airbnb, nota creatrice di bolle immobiliari (pare essere la sua strategia nascosta, sta investendo milioni di dollari in lobbying in una battaglia di prospettiva, stante la sua esportabilità), altri credono alla soluzione salvifica del mercato (leggi proprietari di immobili, in realtà molto più semplicemente vogliono aggirare le leggi dell’equo canone) eliminare i lacci e lacciuoli della normativa in essere.
Chi ha vinto il referendum? Ovvio, Airbnb. Perché? Ovvio, ha speso in marketing politico «quaranta volte quaranta» gli avversari. Silicon Valley non c’è più, si è fatta Monopoly Valley. Questi, che raccontavano ai gonzi le meraviglie della Rete come strumento di democratizzazione, hanno da tempo gettato la maschera.
Sono d’accordo con Alberto Mingardi che la «share economy» non abbia «lati oscuri», ogni forma di business mai ha, per definizione, lati oscuri, se si muove nell’ambito delle leggi, se invece le vuole aggirare ha lati criminali, da qua non si sfugge.
Non vedo perché perdere tempo nel discutere sugli aspetti teorici della libertà di intrapresa, ovvio che nulla deve ostacolare Airbnb o UberPop dal fare il loro business di intermediazione come preferiscono (siamo o no liberali?), purché rispettino le leggi, e l’Agenzia delle Entrate sia garantita che le Società paghino le tasse, senza le note, scandalose furbate dei prezzi/costi di trasferimento, e i loro Clienti, proprietari di immobili o driver, siano sottoposti a una ritenuta d’acconto, i loro nominativi comunicati (evitando così le velleità spionistiche dei vicini di casa, ancora legati all’anglosassone principio, «se tutti pagano le tasse, tutti pagano meno»). Allora sì che le regole di mercato avrebbero la giusta valenza, che garantisce tutti gli attori (siamo o no liberali?).
Per esempio, i proprietari di abitazioni avranno tutti gli elementi per valutare a quale prezzo (minimo) di affitto farsi intermediare da Airbnb, ottimizzando rischi, tempi, commissioni, tasse aggiuntive. Altrettanto faranno i cosiddetti driver, qualora il Governo italiano dovesse dare via libera a UberPop, dovranno entrare in un albo, sottoporsi alle stesse visite mediche a cui sono sottoposti gli attuali tassisti (è o no servizio pubblico?), essere gravati di una ritenuta d’acconto da parte di UberPop con comunicazione all’Agenzia delle Entrate. Così tassisti e driver, in libera competizione, costruiranno i loro conti economici, metteranno la «tangente» del 20% dovuta a UberPop. Se l’attuale tariffario UberPop così favorevole per i clienti sta ancora in piedi bene, altrimenti occorrerà adeguarsi alle leggi di mercato, abbassando la «tangente» o alzando i prezzi della corsa.
Il bello del business e del management è che tutte le teorie economiche, anche le più innovative e sofisticate (in realtà vecchie come il cucco), trovano la loro morte nel «conto economico», e nel rigoroso rispetto delle leggi. Così come (siamo in stagione) il tartufo bianco trova la sua morte nell’uovo al tegamino.