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 2015  novembre 11 Mercoledì calendario

Piero Giarda spiega: «La spending review non è solo tagli. Ed è persino possibile che nel primo periodo richieda costi maggiori»

ROMA Al fondo di tutto c’è un malinteso. Se la spending review in Italia non riesce a decollare, come dimostrano da ultimo, le dimissioni del commissario Roberto Perotti, è perché si fa confusione sul significato e la portata dei progetti di revisione della spesa. «La spending review non può rappresentare un elenco di tagli possibili, e neanche un intervento di riequilibrio tributario», dice Piero Giarda, economista, ex sottosegretario ed ex ministro, ed attualmente presidente del Consiglio di sorveglianza della Popolare di Milano. Giarda di spesa pubblica se ne intende visto che ha fatto parte del primo comitato tecnico di controllo istituito presso il ministero del Tesoro alla fine degli ani Ottanta ed ha coordinato il progetto di spending review nel governo Monti.
Ci hanno provato in molti, da Enrico Bondi, a Carlo Cottarelli a Roberto Perotti. Ma nessun progetto è arrivato al traguardo: L’Italia è refrattaria ai controlli sulla spesa?
«Non direi. Il nostro Paese ha dimostrato che la spesa pubblica si può controllare. Lo hanno fatto nel corso degli anni, con varie misure, un po’ tutti i governi. Ma si tratta di un azione che risponde ad un principio macroeconomico. I tagli, spesso lineari, e sovente anche rozzi, sono finalizzati a trovare risorse per ridurre le tasse o il deficit. Nel linguaggio comune la spending review viene associata a tale azione, viene considerata un’alternativa alle indicazioni della manovra finanziaria. Ma non è così»
Cosa è allora?
«È una cosa diversa, è un progetto di ampio respiro che richiede tempo per essere realizzato e che può assicurare al suo completamento un grande vantaggio economico. Se si pensa per esempio ai servizi pubblici l’azione di revisione della spesa serve a verificare se i bisogni che li hanno originati siano rimasti gli stessi o siano cambiati. E serve a valutare se sia possibile renderli più efficienti utilizzando le migliori tecnologie. È insomma una forma di riesame delle attività dello Stato per adeguarle nei volumi, nei modi di produzione e nei prezzi per gli utenti. Non sono, o non dovrebbero essere, i bisogni finanziari a guidare, per lo meno nel breve periodo, la spending review. Che non può essere associata ai tagli, né alla revisione delle agevolazioni fiscali che riguardano la giustizia e il modo di fare politica tributaria. Inoltre, per essere realizzata potrebbe anche richiedere nell’immediato investimenti e quindi maggiori spese».
Se ne potrebbe fare a meno allora, se non serve a individuare risparmi di spesa. Non crede?
«Penso che un piano di spending review crei in chi l’ha definito aspettative nel breve periodo. Ma la realizzazione in tempi rapidi di misure complesse non è sempre possibile. Senza contare che si tratta comunque di proposte tecniche mentre le scelte su questo terreno sono politiche»