la Repubblica, 11 novembre 2015
Le quattro condizioni di Cameron per restare in Europa
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA. Parafrasando un noto film, David Cameron la chiama «missione possibile». Forse neanche Tom Cruise, l’eroe cinematografico a cui allude la battuta, potrebbe portarla a compimento con pieno successo, eppure il premier britannico si sforza di apparire fiducioso. Presentando ieri a Londra le sue richieste affinché il Regno Unito resti nell’Unione Europea, il leader conservatore ha ammesso di comprendere «quanto siano difficili» alcune delle questioni poste da Londra, ma ha assicurato di non avere mai pensato «nemmeno per un momento» che sia impossibile risolverle e si è detto pronto a battersi «anima e cuore» per fare rimanere il suo paese nella Ue nel referendum previsto entro il 2017 in Gran Bretagna – se si troverà un’intesa con Bruxelles. «Sarà la decisione più importante per noi nell’arco di una generazione», afferma Cameron. E sarà una decisione «finale», definitiva, non essendo in programma, almeno per ora, un secondo referendum per cambiare idea, nel caso in cui i sudditi di Sua Maestà votassero per uscire dall’Unione. Le prime reazioni sono miste: Angela Merkel promette di fare di tutto per arrivare a un accordo con Londra, ma il presidente del Parlamento europeo Martin Schultz avverte che ci sono principi intoccabili, come l’eguaglianza di trattamento per i lavoratori in tutto il territorio della Ue.
Con un discorso alla think tank di affari politici Chatam House, il primo ministro ha reso ufficialmente pubblica la lettera inviata al presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk. In essa sono delineati quattro punti: protezione dei diritti dei paesi (come la Gran Bretagna) che non fanno parte dell’eurozona; possibilità di restare fuori da eventuali passi per una maggiore integrazione; misure per il potenziamento della competitività del mercato unico; riduzione dell’alto livello di immigrazione da altri paesi della Ue in Gran Bretagna e dei benefici assistenziali di cui tali immigrati usufruiscono. Quest’ultimo è l’argomento più complesso. Cameron chiede che gli immigrati Ue possano ricevere assistenza pubblica solo dopo quattro anni che lavorano nel Regno Unito, ma una simile eccezione violerebbe le norme comunitarie. Tuttavia il ministro per lEuropa David Lidington osserva che Londra sarebbe disposta a considerare altre proposte in merito dai propri partner europei: un segnale di Òflessibilità, commenta il Guardian. «Ci sono vari modi di ottenere il nostro obiettivo», afferma Lidington.
Lo spazio per un compromesso forse esiste ma è stretto. E a renderlo ancora più angusto ci sono fattori incontrollabili, come la ferrea opposizione della lobby anti-Ue britannica, guidata dai populisti dell’Ukip ma presente anche all’interno del partito conservatore. «Il limite dei quattro anni sui benefici sarebbe illegale e altamente problematico», ammonisce peraltro il presidente del Parlamento europeo Schultz. Il referendum potrebbe tenersi l’anno prossimo, in autunno o addirittura in giugno. In ogni caso David Cameron ha al massimo due anni di tempo per verificare se si tratta davvero di una «missione possibile».