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 2015  novembre 11 Mercoledì calendario

Doping, dopo la Russia toccherà a Kenia, Turchia, Etiopia

Lo tsunami doping nell’atletica leggera non si ferma in Russia. Dick Pound, il capo della commissione Wada che ha completato il primo devastante rapporto, ha anticipato ieri i prossimi obiettivi: Kenia, Etiopia e Turchia. Rischiano grosso gli africani dominatori delle discipline di resistenza. Rischiano i nuovi fenomeni turchi, già decimati da una recentissima indagine interna che ha squalificato 31 atleti. Un nuovo rapporto Wada arriverà entro due mesi.
Intanto l’Interpol indaga per scoprire come la federazione di atletica leggera (Iaaf) abbia coperto lo scandalo russo. Ieri il procuratore di Bolzano, Guido Rispoli, ha ammesso che l’inchiesta Wada «è probabilmente partita» dai documenti che, nell’ambito del caso Schwazer, vennero sequestrati a Giuseppe Fischetto, il medico italiano che gestiva dall’esterno i controlli della Iaaf. Nel suo computer erano conservati i parametri fisiologici di migliaia di atleti e una lunga serie di e-mail tra i responsabili dell’agenzia antidoping russa (Rusada), il capo medico Iaaf Gabriel Dolle (arrestato la scorsa settimana a Nizza) e lo stesso Fischetto. Alcune di queste mail, alla luce delle rivelazioni di lunedì, suonano beffarde. Nel marzo del 2012 Dolle delega Natalia Popova, manager Rusada, ad effettuare «100/120 controlli» alla prova di Coppa del Mondo di marcia di Saransk. La Popova accetta trasmettendo un preventivo altissimo: 200 euro a prelievo contro i 50 pagati di norma dalla Iaaf. A Dolle che chiede uno sconto, la manager risponde: «Da voi forse i prezzi sono più bassi – scrive – ma qui in Russia la qualità si paga». La qualità, almeno per quanto riguarda gli atleti ex sovietici, consisteva nella neutralizzazione o distruzione dei campioni biologici in un laboratorio parallelo a quello ufficiale, ieri sospeso da ogni attività a tempo indeterminato.
La disinvoltura con cui i russi si dopavano e le «distrazioni» della Iaaf erano clamorosi. Il marciatore Sergey Kirdyapkin debutta nel 2005 vincendo i campionati mondiali ad Helsinki e corona la sua carriera (che oscilla tra altissimi e bassissimi, come il suo ematocrito) nel 2012 a Londra con l’oro olimpico della 50 chilometri. Nel database sequestrato a Bolzano, Kirdyapkin vanta 17 prelievi con valori ematici che già nel 2005 sono da cyber-atleta. Eppure la Iaaf lo lascia gareggiare e vincere i Giochi 2012. Kirdyapkin viene fermato solo lo scorso gennaio, dopo l’incriminazione del suo allenatore, il dopatore seriale Viktor Chegin. Affidato per il giudizio proprio all’agenzia antidoping russa, il marciatore si vede comminare un’incredibile squalifica «spezzatino» di 3 anni e due mesi, suddivisi in tre periodi diversi, che salva tutte le vittorie. «Che c’è di strano? – dice il direttore della Rusada, Ramil Khabriev – l’abbiamo squalificato solo per i mesi in cui eravamo certi si fosse dopato». Contro la sanzione antidoping più ridicola della storia pende un ricorso al Tas di Losanna.
A Liliya Shobukhowa, poi testimone chiave dell’inchiesta Wada, la Iaaf ha consentito di gareggiare per undici stagioni e salire sul podio di otto grandi maratone e incassando un montepremi di oltre 600 mila euro, pur registrando regolarmente dati ematici da brivido. Capire chi si sia spartito i 450 mila euro che la 38enne russa ha pagato per coprire (senza riuscirci) il suo doping è uno degli obbiettivi dell’inchiesta dell’Interpol.