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 2015  novembre 11 Mercoledì calendario

In carcere tutti e due i killer di Ancona. Antonio sta solo e prega su un santino di Padre Pio

ANCONA. «Ma io credevo che fosse una pistola giocattolo!», dice la ragazzina strabuzzando gli occhioni verdi davanti al giudice del Tribunale dei minori di Ancona, tentando ancora una volta di alleggerire un macigno giudiziario che stride con i suoi 15 anni. Nelle sale della comunità protetta attigua al tribunale si sta decidendo il suo futuro prossimo: la procura chiede ed ottiene dal giudice Paola Mureddu la convalida del fermo e il trasferimento in un carcere minorile, l’ipotesi più dura tra quelle contemplate per i minori.

Intanto, per tre ore e mezzo lei rivive senza lacrime quel sabato di fuoco, i minuti in cui ha aperto la porta di casa al suo fidanzato che ha sparato otto colpi massacrando papà e mamma. Lui è in fin di vita, in coma irreversibile; lei uccisa sul posto, ammazzata con un colpo secco alla testa. Mentre la ragazzina, jeans e felpa, lunghi capelli castani, affrontava il suo destino, il medico forense eseguiva l’autopsia sul corpo della mamma rilevando tre fori di proiettile, uno in più di quanto si sapesse: un colpo al braccio, uno al fianco e un terzo, mortale, alla testa. Il colpo di grazia.

“Confesso l’omicidio di Fabio Giacconi e Roberta Pierini”, aveva lasciato scritto Antonio in casa sua prima di uscire con il pistolone e 86 proiettili. Il magnete d’amore che li aveva convinti di essere tutt’uno ora ha invertito la polarità: «Non è vero che gli ho detto di sparare, non è vero!», ha detto e ripetuto al giudice restituendo ad Antonio il fardello che le aveva scaricato addosso. Lui, chiuso in cella nel carcere di Camerino, davanti al giudice per la convalida del fermo ci andrà oggi, e intanto prega: si è fatto portare un santino di padre Pio e si consuma le mani conserte con cui sabato brandiva la calibro nove rimediata chissà come. Agli inquirenti ha detto di essersela procurata «da un albanese» per 450 euro con tutto quell’arsenale di proiettili e caricatori, una versione «poco credibile» per gli inquirenti. I quali, peraltro, stanno allargando il cerchio delle indagini tornando indietro nel tempo, e saltano fuori drammatiche storie parallele di sangue e passione: il papà di Antonio — spedito al confino giudiziario ad Ancona tanti anni fa per un passato pesantissimo nella criminalità organizzata, e poi lambito anche lì da un’inchiesta per omicidio chiusa senza colpevoli — quand’era minorenne fu condannato per aver ucciso un uomo che riteneva rivale in amore. E anche dal passato remoto di Roberta emerge un antico amore sbagliato che forse spiega la sua ostilità verso Antonio, per la paura che la sua “bimba” vivesse un’esperienza altrettanto drammatica. Presentimento di madre.

«Doveva essere solo un chiarimento », ha ribadito la ragazzina al giudice: volevano convincere i suoi genitori a rivedere la loro decisione. È l’unico punto sensibile, o quasi, su cui le versioni dei due ragazzi collimano. L’altro è il “tentato suicidio” di lui nell’androne, prima di salire in casa, quando ha afferrato la pistola per la canna e ha offerto la presa a lei dicendole di ucciderlo. «Pensavo fosse un’arma giocattolo», ha detto lei, che ha raccontato di averlo mandato al diavolo con un gestaccio per scansare la pistola. Poi sono saliti al quarto piano, insieme.

Ma il movente? Il 28 ottobre, dieci giorni prima del disastro, la ragazzina aveva provato a cambiare rotta. Dopo l’ennesima lite in famiglia era andata dai carabinieri a chiedere che la aiutassero ad andare via di casa, a tornare nell’appartamento di Antonio, da cui era stata allontanata tra ossessioni e tentati suicidi. E i suoi genitori, preoccupati, erano andati a cercarla in questura dove avevano scoperto il passato pesantissimo di Carlo Tagliata, il papà di Antonio. L’ostilità a quella relazione infausta è diventata assoluta. E Antonio ha preso la pistola.