11 novembre 2015
In morte di Helmut Schmidt
Danilo Taino per il Corriere della Sera
BERLINO Per arrivare al cospetto di Helmut Schmidt, morto ieri all’età di novantasei anni, c’erano due strade. Seguire le note di Mozart e di Bach che uscivano dal suo pianoforte. O farsi portare dal fumo delle sigarette al mentolo che alternava senza interruzione a prese di tabacco e a confetti balsamici. L’esperienza dei sensi diventava poi esercizio intellettuale, davanti a una delle figure di statista più rilevanti della Germania post-bellica e della Guerra Fredda. Per quanto controverso possa essere stato, questo politico moderno e anseatico, aperto al mondo come solo un tedesco di Amburgo può essere, conquistava.
Negli Anni Settanta e Ottanta, fu il volto della Germania che cambiava, che usciva dal suo miracolo economico del tutto diversa da quella nazione piegata e umiliata, colpevole, che il mondo aveva visto nella primavera del 1945. Come Willy Brandt, il suo predecessore alla cancelleria di Bonn, è stato un socialdemocratico europeo in un Paese in ricostruzione. Una generazione, quella di Schmidt – nato il 23 dicembre 1918, praticamente con la Repubblica di Weimar, una guerra mondiale appena terminata e un’altra che lo aspettava – che la storia spaventosa del Novecento tedesco l’ha attraversata mostrando il petto.
Figlio di due insegnanti, Helmut entra nella Gioventù di Hitler da ragazzino, con doti da leader. Ma già nel 1936 viene allontanato per idee poco naziste. Nel 1937 è arruolato. Scoppia la guerra e va a combattere: fronte orientale, assedio di Leningrado, poi al ministero dell’Aviazione. Nel 1944, assiste ad alcune fasi del processo agli attentatori di Hitler del 20 luglio: una lezione di totalitarismo in presa diretta. Infine il fronte occidentale, dove nell’aprile 1945 viene fatto prigioniero dagli inglesi. Nel frattempo, nel 1942, si sposa con Hannelore Glaser, Loki: avranno due figli. Nel 1949 finisce gli studi e si laurea in Economia e Scienze politiche. Nel 1946 si iscrive alla Spd, partito socialdemocratico che non lascerà mai, nonostante i contrasti feroci, negli anni successivi, con la sua ala sinistra.
In Germania, se si esclude Angela Merkel, in genere i politici non si iscrivono al potere centrale: prima si fanno le ossa a livello locale. Schmidt nel Senato di Amburgo. Poi, la politica nazionale: Bundestag e quindi lunghe settimane a Bonn; ministro della Difesa nel governo Brandt nel 1969, e da lì ridurrà la leva da 18 a 15 mesi; dal 1972 ministro dell’Economia e delle Finanze. Nella primavera del 1974, però, il cancelliere Brandt si deve dimettere in seguito all’Affare Guillaume, uno scandalo di spionaggio nel suo ufficio a favore della Germania Est. Schmidt diventa cancelliere: lo rimarrà fino all’ottobre 1982, riconfermato in due tornate elettorali.
Sono gli anni dell’autunno tedesco: aumento del prezzo del petrolio, inflazione nel mondo, terrorismo mediorientale e interno, crisi dei missili con l’Unione Sovietica. Schmidt in economia adotta misure di spesa per sostenere l’occupazione. Ma per il resto si mette su un piano di scontro con la sinistra del suo partito. La battaglia contro il gruppo Baader-Meinhof-Raf, terroristi di sinistra, è condotta senza limitazioni dallo Stato e raggiunge il culmine con la morte di Ulriche Meinhof in prigione, nel 1976, e quella di altri tre militanti, compreso Andreas Baader, nel carcere di Stammheim l’anno successivo. Sempre nel 1977, quando Mosca aveva schierato missili SS-20 che potevano colpire l’Europa, Schmidt è il primo leader occidentale a chiedere una reazione dell’Alleanza Atlantica (che arrivò definitivamente nel 1983 quando egli non era più cancelliere). A metà Anni Settanta è uno degli organizzatori dei primi summit delle maggiori economie, quelli che oggi sono diventati i G7. È tra i primi a proporre la moneta unica europea.
Lasciata la cancelleria, continua a fare politica ma in modo meno diretto. Libri, discorsi e, soprattutto, nel 1983 entra tra i responsabili di uno dei settimanali più prestigiosi della Germania, Die Zeit. La moglie Loki, alla quale è stato legatissimo, muore nel 2010. Nel 2012 fa sapere di essersi innamorato di nuovo: di Ruth Loah, 79 anni. Lo scorso settembre aveva subito un’operazione, era in convalescenza ed aveva smesso di fumare. Le sue condizioni sono peggiorate improvvisamente e ieri se n’è andato. Un grande tedesco, amato in patria e fuori. Henry Kissinger, 92 anni, ebbe a dire che, nell’ultimo passo, avrebbe voluto precedere il suo amico: per non vivere in un mondo senza Helmut Schmidt.
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Andrea Tarquini su Repubblica
BERLINO. «Spero di morire prima di Helmut, non voglio vivere in un mondo senza la sua voce», aveva detto Henry Kissinger. La vita lo ha deluso: Helmut Schmidt, il primo grande riformatore modernista della sinistra europea quando Tony Blair, Gerhard Schroeder o Goeran Persson erano solo bambini o teenager, lui che con Valéry Giscard d’Estaing pose le fondamenta dell’euro e, sfidando il suo partito (la Spd), chiese euromissili americani per rispondere al mostruoso riarmo di Mosca con centinaia di SS-20 puntati contro di noi, è morto a quasi 97 anni nella casetta di Amburgo-Langenhorn. Aveva chiesto di tornarvi per gli ultimi giorni. Addio del mondo a uno degli ultimi Grandi del ventesimo secolo, statista-simbolo d’un’alta idea etica della politica come missione, un grande europeo col senso dello Stato.
«Ambizione di potere? No. La mia generazione vide la Patria distrutta dalla follia criminale di Hitler, scegliemmo l’impegno politico per costruire una nuova Germania in cui l’orrore non avrebbe potuto ripetersi», narrò in una bella intervista all’anchorwoman Sandra Maischberger, bilancio di una vita eccezionale. Nella sinistra democratica europea altri furono gli eroi mitizzati: Willy Brandt cancelliere della pace o Enrico Berlinguer, il premier svedese Olof Palme o François Mitterrand.
Lui non fu mai amato dal popolo di sinistra: troppo pragmatico e occidentale. I suoi idoli erano Churchill, Bismarck, e Walther Rathenau, il ministro degli Esteri pacifista ebreo della Repubblica di Weimar assassinato dalla destra. I suoi amici, Kissinger o l’ex presidente della Fed Paul Volcker. E soprattutto, ripeté per anni “It’s the economy, stupid!”: per lui il buon governo dell’economia a tutti i costi era valore costitutivo d’una sinistra di governo. Oggi, tanti dànno ragione a “Schmidt Schnauze”, Schmidt muso duro, o “Schmidt the lip”, come lo chiamavano gli alleati angloamericani con cui trattava durissimo. Ma fu con un atto anticostituzionale che decollò la sua carriera. Violando il divieto costituzionale d’usare l’esercito a fini interni mobilitò migliaia di soldati per salvare i civili di Amburgo da una tsunami, nel febbraio 1962. Cominciò così, lui figlio illegittimo d’un banchiere ebreo e d’una cameriera, a divenire il cancelliere più amato dai tedeschi: più di Adenauer o di Kohl.
Difesa, poi Economia, poi Cancelliere: dal 1969 col primo governo di sinistra guidato da Willy Brandt, passando per il 1974 quando Brandt bruciato dal colonnello-spia della Stasi Guenter Guillaume suo consigliere si dimise, fino al 1982, Helmut Schmidt lasciò il segno nell’Europa in cui viviamo. «Valéry, litighiamo sugli alimenti se vuoi ma l’euro è figlio nostro», disse al caro amico oltre gli schieramenti, Valéry Giscard d’Estaing. Furono loro due a creare sistema monetario europeo ed Ecu, radici della moneta unica. E col summit di Rambouillet inventarono il G7, il vertice dei potenti economici del mondo. In quell’èra di dollaro instabile, Schmidt alleato leale sparava a zero su Washington, non sui deboli come la Grecia di oggi.
Loki, fidanzatina da quando era tenente della contraerea, fu la compagna della vita. Ma Schmidt era anche un uomo vero capace poi di confessare peccati: nel 2012, dopo la morte di Loki, raccontò la lunga relazione con Ruth Loah. Adorava la musica, soprattutto Bach: suonava piano e organo, incise dischi. Cancelliere negli Anni di piombo, impose la linea della fermezza contro la Rote Armee Fraktion, le Brigate rosse tedesche. No a ogni negoziato, se trattiamo abdichiamo. Firmò un ordine segreto: se mi rapiranno lasciateli uccidermi e non cedete. Al dirottamento del 737 Lufthansa su Mogadiscio, rispose inviando le teste di cuoio.
Sfidò il partito anche sul pacifismo: chiese il controriarmo Nato per rispondere a Breznev. La Spd non glielo perdonò mai, rispose con richieste economiche massimaliste, e spaccando la coalizione coi liberali (Fdp) pose fine al suo potere. Lui non se ne pentì: «Meglio perdere elezioni democratiche contro Kohl che non cedere al riarmo di Breznev, minaccia atomica puntata solo contro l’Europa, Mosca voleva sganciare la nostra sicurezza da quella americana», confessò poi.
Nella Spd, solo il riformatore Gerhard Schroeder lo elogiò, e poi da cancelliere si ispirò a lui lanciando le dure riforme del welfare che salvarono la Germania dal declino. Nell’autunno della vita, è rimasto attivo fino all’ultimo. In talkshow continui (imponeva a tutti di lasciarlo fumare a catena, in barba a ogni divieto), spesso in tv con l’ex avversario Kohl. E in interventi su Die Zeit, il settimanale di qualità simbolo dei media tedeschi. A Die Zeit era diventato il Grande vecchio, fu lui a fare l’esame d’ammissione al nuovo direttore, Giovanni Di Lorenzo. Aveva debuttato come penna nel dopoguerra dell’Anno Zero, presentandosi ai fondatori, Gerd Bucerius e la contessa Marion Doenhoff, nel liso cappotto di ufficiale della contraerea. «Quel ragazzo ne farà di strada», si dissero il magnate dei media e la giovane nobile prussiana.•••
Angelo Bolaffi su Repubblica
Con lui nacque la potenza economica della Germania
Se Willy Brandt aveva fatto “far pace” alla Germania con il mondo, Helmut Schmidt è stato il cancelliere socialdemocratico che ha trasformato il suo paese nella potenza economica leader d’Europa. A lui si deve, infatti, l’invenzione di quello che egli stesso definì Modell Deutschland: il combinato disposto di un sistema industriale volto alla conquista dei mercati mondiali e di un compromesso corporativo tra capitalismo e classe operaia.
Insomma efficienza produttiva, cogestione sindacale e Welfare.
Esponente di quella tradizione protestante e “operaista” che sin dagli anni di Weimar era stata l’asse portante della socialdemocrazia tedesca, Schmidt ha combattuto con spietata durezza anseatica la ricorrente tentazione di sospingere la politica della Spd su posizioni “romantiche”: a chi anche tra i dirigenti del suo partito gli rimproverava un eccesso di realismo, citando Max Weber, un autore che amava moltissimo al pari di Kant e di Karl Popper, Schmidt era solito rispondere che se si ha fame di “visioni” è “meglio andare al cinema”.
Da questo punto di vista lo scontro più drammatico e decisivo dal punto di vista “storico-universale” fu quello che sostenne verso la fine degli anni ‘70 con il movimento pacifista in Germania: oggi sappiamo che si deve alla sua determinazione (e poi a quella di Reagan) se in Europa è finita la Guerra fredda, se il 9 novembre ‘89 è caduto il Muro di Berlino e se 25 anni or sono la Germania è tornata un paese unito. Per quella che appare davvero come una paradossale contraddizione è stato proprio sotto la guida di Helmut Schmidt, un leader mai amato dal suo partito, che la socialdemocrazia tedesca ha conosciuto nel secondo dopoguerra il momento di sua massima capacità egemonica in Germania e in Europa. Un destino il suo non molto diverso da quello di Gerhard Schröder, l’ultimo Cancelliere socialdemocratico. Il leader che contro il suo partito ha fatto riforme necessarie. E per questo nel 2005 ha perso le elezioni.
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Tonia Mastrobuoni per La Stampa
«Chi ha visioni, deve andare dall’oculista»: forse non c’è frase che riassuma meglio lo stile e il carattere di Helmut Schmidt. L’ex cancelliere è morto ieri ad Amburgo, a 96 anni. Fino all’ultimo, nonostante quattro bypass, coltivò una passione smodata per le sigarette: le fumava persino nei palchi dei teatri e in televisione. Nei momenti difficili, disse, «servono forza di volontà e sigarette».
Socialdemocratico riluttante secondo alcuni, capostipite della sinistra riformista secondo altri, Schmidt è stato straordinario gestore delle più gravi crisi tedesche del dopoguerra - da quella petrolifera al terrorismo - e sofferto erede del cancelliere più popolare e carismatico, Willy Brandt. Ma lo spigoloso amburghese è stato anche tra i padri dell’euro e tra i principali architetti dell’asse franco-tedesco.
La stoccata sulle visioni e l’oculista era riferita peraltro al suo predecessore Brandt: il leader socialdemocratico che si inginocchiò nel ghetto di Varsavia ma che gli aveva lasciato in eredità, nel 1974, piani economici «in parte non realizzabili, in parte non finanziabili». Schmidt, peraltro, fece torto a se stesso con quella frase. Dovette affrontare la recessione da crisi petrolifera e l’incubo del terrorismo e lo fece con lo stesso pragmatismo, la stessa lucidità con cui aveva affrontato, all’inizio degli Anni 60, una terribile emergenza nella sua città. Col senno di poi, molte sue decisioni si rivelarono lungimiranti. Se non visionarie.
Il tributo della Merkel
Ieri Angela Merkel, cui Schmidt non risparmiò bordate terribili durante la crisi greca, gli ha tributato un omaggio in Parlamento, ricordando il primo episodio che ne fece una leggenda. Quando Amburgo fu travolta nel 1962 da un’esondazione che provocò oltre trecento morti, l’amburghese era responsabile dell’Interno della città-Land. Coinvolse l’esercito tedesco e la Nato, nonostante non avesse le competenze per farlo, bypassò il sindaco e le autorità locali e scongiurò altre centinaia di morti. Da allora fu soprannominato «il signore dei flutti» e la sua carriera divenne inarrestabile.
Da cancelliere, affrontò subito il primo rapimento della Raf, quello del politico berlinese Peter Lorenz. Trattò con i terroristi, Lorenz fu liberato, ma «dal giorno dopo» come scrisse nella sua autobiografia, Schmidt capì che era stato «un errore». Da allora adottò la linea dura, soprattutto nella crisi più grave del cosiddetto «autunno tedesco», quella del rapimento di Hanns Martin Schleyer, capo degli industriali tedeschi dal passato nazista, nel 1977. Schmidt prese tempo, ma su suggerimento del leader dei sodali palestinesi della Raf, Wadi Hassad, i terroristi aumentarono le pressioni sul governo sequestrando un aereo Lufthansa diretto a Francoforte con 87 persone a bordo. Il cancelliere mantenne la linea dura. Preparò in segreto una lettera di dimissioni, se il piano che aveva in mente fosse fallito, e decise l’assalto all’aereo dirottato a Mogadiscio. Le forze speciali dell’«Aktion Feuerzauber» liberarono i passeggeri e uccisero i sequestratori. Schmidt pianse a lungo. Trent’anni dopo scrisse che «potemmo fare affidamento solo sulla forza della ragione». Schleyer, tuttavia, fu ucciso.
In quegli anni fatidici Schmidt si rese impopolare in Italia con la famosa richiesta che il governo garantisse un prestito chiesto ai tedeschi con le riserve auree della Banca d’Italia. Ma si distinse anche per l’eccezionale sodalizio con il presidente francese Valéry Giscard d’Estaing che cementò l’asse franco-tedesco e fece da traino, in Europa, per una serie di passi fondamentali verso l’integrazione europea. A cominciare dall’idea di avviare l’Ue verso una moneta unica. Schmidt è stato fino all’ultimo un fervente europeista, infastidito dal peso eccessivo della Germania in Europa.
Il tradimento dei liberali
Anche nel quadro delicato della Guerra fredda, il politico amburghese dal nonno ebreo che era stato soldato nella Wehrmacht, si mostrò coraggioso, soprattutto con il proprio partito e con i movimenti anti-atomici che si diffondevano in quegli anni, difendendo la «doppia decisione» della Nato di trattare con l’Urss ma minacciando l’installazione di missili puntati verso Mosca, per difendersi dalle atomiche sovietiche con la punta rivolta verso l’Europa. Col senno di poi, una decisione lungimirante. Nel 1982 Schmidt fu vittima del primo voto di sfiducia costruttiva del dopoguerra tedesco: fu il tradimento dei liberali guidati da Hans-Dietrich Genscher, che scelsero di passare con la Cdu, a costargli la poltrona da cancelliere. Ma il suo erede, Helmut Kohl, rimase fedele alla «doppia decisione» e al riformismo schmidtiano.