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 2015  novembre 10 Martedì calendario

Storia di Lorenzo Insigne, il calciatore italiano più forte al momento (checché ne pensi Conte)

Lorenzo Insigne sta vivendo la sua migliore stagione da calciatore. La genialità al servizio della squadra e viceversa. L’effetto scandito nei numeri (già bruciato il record di gol in Serie A), la coppia gol Insigne-Higuain considerata giustamente tra le migliori in Europa.
Maurizio Sarri gli ha restituito il suo ruolo di esterno alto e lui sta ripagando la fiducia da autentico campione. Con Insigne in campo, il Napoli vola.
Eppure, fino a non troppo tempo fa, dicevano che fosse troppo basso per giocare a calcio. La strada che ha portato Insigne a essere considerato il miglior calciatore italiano del momento (certamente il più prolifico, classifica marcatori alla mano), è stata sempre in salita. Ripercorrendo il percorso di Lorenzo si percepisce infatti chiaramente l’ostinazione di un ragazzo che vuole realizzare il suo progetto e la semplicità del vissuto familiare, determinante nell’indicargli la via giusta da percorrere.
Il sogno di Lorenzo Insigne inizia sotto casa. Pomeriggi interi a dare calci a un pallone nello slargo tra le palazzine popolari di via Rossini, a Frattamaggiore, paese della provincia di Napoli famoso per le gomene delle navi che vi si producevano un tempo. Quel bambino piccoletto, con uno sguardo vivace da scugnizzo, lo conoscono tutti nel rione. Le sue pallonate riecheggiano senza sosta per ore, per giorni interi. Quando Lorenzo compie cinque anni, mamma Patrizia decide che è arrivato il tempo di tentare di capire se ciò che la gente le dice è vero. Le ripetono tutti: «Signora, vostro figlio ha il calcio nel sangue. Diventerà un giocatore fortissimo».
L’INIZIO CON L’OLIMPIA
A un paio di chilometri da casa c’è la scuola calcio olimpia Sant’Arpino, società affiliata al Torino. Lorenzino mostra subito a tutti di avere una marcia in più. È il più piccolo, ma anche il più forte. La strada, però, è in salita. Sono tempi duri per gli Insigne. La crisi morde e succede che la fabbrica di scarpe in cui lavora papà Carmine chiuda improvvisamente. Con una casa da mantenere e tre figli piccoli da tirar su (intanto, dopo Antonio e Lorenzo, è nato anche Roberto), la retta della scuola calcio diventa un optional. Il presidente dell’Olimpia, Orazio Vitale, comprende il momento e accoglie comunque quel bambino che con la palla tra i piedi incanta tutti.
«Avevo smesso di giocare in Serie D da poco tempo» racconta al Guerin Sportivo il suo primo allenatore, Enzo Setola, «e portai mio figlio Gennaro all’Olimpia per iscriverlo a scuola calcio. Mi chiesero di allenare i Pulcini. Per me era un’esperienza del tutto nuova, un’avventura stimolante. Accettai volentieri, ma mai avrei immaginato di vedere cose simili al primo allenamento. Lorenzo Insigne faceva già dei movimenti impensabili per un bimbo di soli 5 anni. Gesti tecnici naturali, come veroniche e doppi passi. Tirava di collo piede come i ragazzini di almeno tre anni più grandi di lui». Setola non ha dimenticato nulla di quel primo incontro: «Considerate che allora giocavamo con palloni di misura 5. Il pallone era quasi più grande di lui». Ha allenato Insigne dai 5 ai 13 anni. Lo ha visto crescere a tutti i livelli. «Insigne è tecnica e cuore. Spesso lo facevo giocare con i ragazzi più grandi. Subiva falli, si rialzava e non si lamentava mai. Ha sempre avuto la mentalità giusta per sfondare. Una volta, in Sicilia, per superare il turno in un torneo internazionale, avremmo dovuto vincere con un buon margine contro una squadra bulgara. Gli dissi che tutto sarebbe dipeso da lui. Lo caricai, insomma». Come andò a finire? «Lorenzo in quella partita fece 12 gol e noi arrivammo in finale. Non ho più visto ragazzi con quel talento».
Sono tempi, quelli, in cui il presidente Orazio Vitale deve darsi da fare sia per trovare spazio nella bacheca dell’Olimpia ai tanti trofei vinti dal piccolo Insigne, sia per capire quale sia la scelta migliore da fare per garantire una chance al piccolo campioncino. «Come scuola calcio eravamo affiliati al club granata» ricorda Vitale «e ogni anno salivamo a Torino per il torneo giovanile in ricordo delle vittime di Superga. La prima volta che venne insieme a noi Lorenzo, aveva 8 anni. Diventò un’attrazione per tutti. Un fenomeno. Fu premiato come migliore giocatore della sua categoria. Pensi che i ragazzi più grandi se lo prendevano in braccio e si facevano fotografare con lui». La volta che venne Claudio Sala a Sant’Arpino, se la ricorda? «Fu una visita di cortesia, correva l’anno 2001, prevista nell’ambito del rapporto di affiliazione col Torino. Sala rimase incantato da Lorenzo. “È molto di più forte di me alla sua età” mi disse».
NO DELL’INTER, LO PRENDE IL NAPOLI
Le stimmate del predestinato sulla pelle, dunque. A 11 anni e mezzo arriva il primo vero provino nel grande calcio. Ma anche l’ultimo. È il 2003, il Napoli, la squadra del cuore, naviga in cattivissime acque in Serie B e la società è sull’orlo di un imminente fallimento. Anche il Torino ha problemi societari e così Vitale, lasciandosi convincere da un osservatore dell’Inter che ha notato Insigne, lo accompagna a Milano. «Il provino andò bene» ricorda oggi Vitale. «Beppe Baresi mi chiamò in disparte e mi disse che a lui il ragazzo piaceva, ma che era troppo piccino per la sua età. Aggiunse che sarebbe stato meglio rivedersi dopo un anno, per capire come procedeva lo sviluppo fisico di Lorenzino».
È l’8 febbraio del 2003. Il giorno dopo Insigne fa il suo esordio a San Siro, semplicemente in tribuna. Segue dal vivo l’Inter di Héctor Cúper che rifila tre gol alla Reggina prima di rientrare nel suo mondo fatto di voglia di giocare al calcio e basta. Studio poco, anzi pochissimo. Diciamo lo stretto necessario. Le medie superate a fatica e poi l’Istituto Filangieri frequentato molto di rado, in quell’unico anno di Ragioneria che si è concesso. E allora bisogna rimboccarsi le maniche per aiutare la famiglia numerosa (nel frattempo, è nato anche il più piccolo dei fratelli Insigne: Marco) a tirare avanti dignitosamente. I patti sono chiari: va bene la passione per il calcio, ma la sveglia al mattino suona sempre e comunque alle 5. C’è da andare al mercato di Frattamaggiore a vendere vestiti. Nel pomeriggio, con le energie che restano dopo la giornata di lavoro, ci si può allenare per continuare a inseguire un sogno. «Lorenzo non ha ancora fatto vedere tutto ciò che ha dentro» dice Vitale con orgoglio. «Le sue doti morali, prima ancora che tecniche, lo rendono speciale».
Che Insigne fosse nato per giocare al calcio a grandi livelli, se ne accorge per primo Peppe Santoro, attuale consulente dell’area tecnica dell’Inter, già assistente di Walter Mazzarri, all’epoca responsabile del settore giovanile del nuovo Napoli di Aurelio De Laurentiis. Durante un raduno per scuole calcio a Grumo Nevano, in provincia di Napoli, Santoro aveva avuto occhi solo per quel piccoletto che si muoveva con totale, assoluta destrezza in attacco. Dovendo rimettere su dalle ceneri del fallimento la cantera azzurra, Santoro decise di fiondarsi a Sant’Arpino, compiendo un autentico capolavoro. Il cartellino di Insigne in cambio di 1.500 euro. «È un regalo che faccio a te personalmente» disse il presidente Vitale a Santoro, rinunciando anche al premio di preparazione spettante alla società. Se non è un record, poco ci manca.
L’ESORDIO IN SERIE A
Santoro intuisce prima di tutti che quella tecnica sopraffina unita alla tenacia e alla sobrietà negli atteggiamenti fuori dal campo poteva rappresentare una miscela formidabile. Anche se racchiusa in così pochi centimetri d’altezza. Percepisce un talento fuori dall’ordinario e non lo limita. Gli ricorda di continuare a pensare al calcio come a un gioco e non come a una professione. Lorenzo è felice. Non è più con i suoi amici a giocare tra le palazzine verdi del rione, né al campo Ludi Atellani dell’Olimpia, ma si diverte come e più di allora. È nel Napoli. Il suo Napoli. La squadra per cui tifa sin da bambino.
La scalata nelle giovanili azzurre è rapidissima: Giovanissimi, Allievi e infine Primavera (con titolo di capocannoniere nazionale 2009-10). Lo chiamano “il piccolo Giovinco”. Mazzarri lo osserva in qualche allenamento della Primavera, lo aggrega alla prima squadra ogni volta che può e lo fa esordire in Serie A il 24 gennaio del 2010, concedendogli i secondi finali di un Livorno-Napoli (0-2). Per la storia, Lorenzo sostituisce in quella gara l’argentino Denis.
È una toccata e fuga, quella di Insigne. Dopo pochi giorni si trasferisce in prestito alla Cavese, in terza serie, per «farsi un po’ le ossa», come gli ripetono in sede.
Con mister Paolo Stringara, però, non scocca la scintilla (10 presenze, zero gol). La strada è ancora in salita. A Cava dei Tirreni lo ha voluto Peppino Pavone, il direttore del “Foggia dei miracoli”. «La mancanza di fisicità conta poco quando c’è il talento» ci racconta direttamente colui che ha scoperto Baiano e Signori. «Insigne di classe ne aveva da vendere. E poi ha un carattere fortissimo, un’enorme determinazione. Già a quei tempi era un ragazzo allegro e tenace al tempo stesso».
L’INCONTRO CON ZEMAN
Pavone lo porta con sé anche a Foggia, l’anno successivo, alla corte di Zeman. I primi tempi, però, sono durissimi: tanta fatica e molti rimproveri da parte del tecnico boemo, che gli cambia ruolo schierandolo da esterno alto a sinistra nel suo 4-3-3. Per Insigne è un modo nuovo di giocare. Non sono rare le telefonate a casa di questo genere: «Guarda solo me, ce l’ha con me». Ma non si rassegna. Le strigliate portano in dono 19 reti in 33 partite di campionato e giocate straordinarie. L’anno dopo Zeman si trasferisce a Pescara. Insigne anche. Con Immobile e Verratti forma un tris di baby-fenomeni. Segna 20 gol (18 in campionato e due in Coppa). Il Pescara torna in Serie A. «Ti porterei con me ovunque» gli sussurra un giorno lo schivo Zdenek Zeman. Ma per Insigne è giunto il momento di tornare a casa sua. Antonio Ottaiano e Fabio Andreotti, i suoi agenti, ignorano le proposte di molti club e lo riportano caparbiamente a Napoli.
C’è però da gestire con saggezza l’entusiasmo della gente (per tutti è già diventato “Lorenzo il Magnifico”) e le attese di molti addetti ai lavori (Arrigo Sacchi dice un giorno: «Insigne è il calcio»). Le aspettative sono enormi. I paragoni con Maradona vengono spesso vissuti come botte in testa. Insigne tira dritto e continua la sua rincorsa. Il buon rapporto con Walter Mazzarri, l’esordio in Nazionale con Cesare Prandelli, il colpo di fulmine che scatta con la sua Jenny, il Mondiale brasiliano. È un caleidoscopio di emozioni e sensazioni. Tutte da vivere a mille allora. Ma senza distrazioni. Arrivano in breve tempo il matrimonio e la nuova casa in cui Lorenzo trova riparo ed equilibrio. Nella stessa palazzina in cui si trasferisce, a Frattaminore, a un chilometro in linea d’aria dal rione in cui è nato, sistema anche mamma e papà. Con Benitez gli viene chiesto di sacrificarsi in campo e lui accetta. Il 9 novembre 2014 a Firenze il ginocchio destro fa crack. La strada è di nuovo in salita. Momenti bui. La famiglia lo protegge, lo sostiene e lui torna più forte di prima.
IL BOOM CON SARRI
A luglio, in Val di Sole, c’è apprensione nell’aria. I tifosi si chiedono come e dove troverà spazio Insigne nel 4-3-1-2 sarriano, che ha fatto grande l’EmpoIi nelle ultime stagioni. Il Napoli ha in rosa cinque attaccanti (Higuain, Insigne, Callejon, Mertens e Gabbiadini) per due maglie, una delle quali cucita addosso al Pipita. In Trentino si vedono Ottaiano e Andreotti. Incontrano De Laurentiis. C’è chi ipotizza un clamoroso addio del Magnifico. «Mister, voglio provare a farlo io il trequartista dietro le punte». Lorenzo si propone e con umiltà si sacrifica in un ruolo non suo, pur di giocare. L’allenatore lo coccola e lo pungola: «Insigne mi ha dimostrato di poter essere un grande trequartista, ma io da uno come lui mi aspetto che sia devastante». Inizia il campionato, le cose non vanno per il verso giusto: una sconfitta e due pareggi. Insigne è tra i pochi a salvarsi. Si cambia. Contro la Lazio al San Paolo, Sarri schiera la squadra con il 4-3-3: finisce 5-0 con Insigne goleador e assist-man. È la svolta. Il piccoletto di Frattamaggiorc vola (gol anche alla Juve e doppietta a San Siro) e con lui il Napoli. Sarri ha liberato il genio di Lorenzo, che da esterno alto è devastante per davvero. Lorenzo preme sull’acceleratore. È il suo momento. Il dualismo con Mertens gli pesa. Unico napoletano in una multinazionale del pallone, sente di rappresentare un popolo e vive ogni sostituzione come una frustata.