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 2015  novembre 10 Martedì calendario

«Nei prossimi vent’anni sarà l’India, non la Cina, a trainare la domanda di petrolio. Il greggio tornerà a quota 80 dollari nel 2020, e da lì continuerà a salire». Colloquio con Fatih Birol, direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia

Più che rallentare la Cina cambia e in attesa che l’India si faccia stampella di una domanda energetica in strutturale declino, il prezzo del petrolio ci metterà qualche anno per risalire: «Nel nostro scenario mediano il mercato ritrova equilibrio a 80 dollari a barile nel 2020 e da lì continuerà a salire», dice Fatih Birol, direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), anticipando al Sole 24 Ore i contenuti del World Energy Outlook 2015, che viene pubblicato oggi. Uno scenario dettato anche dal tramonto del fenomeno cinese per come lo abbiano conosciuto fino ad ora.
«Fummo i primi – aggiunge Birol – a vedere il boom di Pechino, ora stiamo avvicinandoci alla fine di una domanda così strutturata e da parte di un solo Paese. I motivi sono tre. Innanzitutto il riequilibrio dell’economia di Pechino, dalla manifattura più pesante ai servizi; in secondo luogo il rallentamento del ciclo che stiamo avvertendo in questi mesi; in terzo luogo la maggiore efficienza». In altre parole la crescita cinese è e continuerà ad essere meno energy intensive, una dinamica che l’Aie quantifica con precisione: per produrre un dollaro di Prodotto interno lordo oggi Pechino utilizza il 15% dell’energia che era necessaria vent’anni fa.
Nonostante il direttore dell’Aie escluda che l’Opec sia in grado di tenere bassi i prezzi «per i prossimi dieci anni» e nonostante veda che metà della crescita globale di gas sia destinata a giungere da fonti non convenzionali (in prevalenza shale gas americano ma anche gli sfruttamenti in Australia e Canada),sull’industria dell’energia si prospetta una congiuntura senza precedenti.
È soprattutto verso gli investimenti che il direttore dell’Aie invita a rivolgere l’attenzione: «Nel settore petrolifero – osserva Birol – sono calati del 20% nel 2015 e nel 2016 ci sarà un ulteriore calo, sebbene non sia in grado di quantificare la contrazione con uguale precisione. Resta il fatto che mai negli ultimi tre decenni si erano verificati due anni di calo consecutivo. Cosa significa? Semplicemente che agli esempi da lei citati di blocco degli investimenti di Shell in Alaska se ne aggiungeranno molti altri di altre imprese».
Si tratta comunque di una fuga a tempo, destinata a finire non appena il mercato ritroverà equilibrio sulla spinta anche di nuovi players. Il più evidente, anche perché lungamente atteso, è l’India, che «si sta muovendo verso il centro dello scenario energetico globale». «La più importante fonte di crescita della domanda di petrolio nei prossimi vent’anni – afferma il direttore dell’Aie – arriverà dall’India. Il 20% dello sviluppo globale di domanda di energia solare sarà ancora una volta targato Delhi. Entro il 2040 l’India importerà il 90% del suo fabbisogno di petrolio e, nonostante si vada affermando come il secondo produttore di carbone del pianeta, diverrà anche il più importante importatore di carbone al mondo. Più di Cina, Unione Europa e Giappone».
L’India grazie anche alle politiche del governo Modi si muove lungo il cammino di una progressiva emancipazione energetica in un contesto che cambia appena l’immagine di un mondo sfregiato da statistiche drammatiche: il 17% della popolazione globale, un miliardo e duecentomila persone continua a vivere senza elettricità. Più di 240 milioni sono proprio in India.
Su tutto pesa poi la minaccia ambientale e il riscaldamento del pianeta. Nell’Outlook 2015, dell’Agenzia diretta da Fatih Birol appaiono considerazioni in bianco e nero. «Ci sono segni evidenti – si legge – che la transizione energetica tanto necessaria è in corso. Ma non ancora a un ritmo tale da far ipotizzare una durevole regressione delle emissioni di Co2». E gli investimenti nelle energie rinnovabili da oggi al 2040 arrivano appena al 15% dell’investimento energetico complessivo.