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 2015  novembre 10 Martedì calendario

In memoria di Luciano Gallino, grande sociologo riformista votato all’impegno civile

Il mondo dell’impresa e del lavoro, nelle sue diverse componenti e linee di tendenza, dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, è stato il tema su cui si sono concentrate le ricerche e le riflessioni di Luciano Gallino, uno dei più autorevoli sociologi italiani. E il tratto distintivo della sua personalità è stato un vigoroso impegno civile, animato da una salda vocazione laica e riformista.
Prima dell’insegnamento (dal 1965) nell’ateneo torinese, Gallino s’era formato nell’ambito della Olivetti, considerata l’emblema per eccellenza di un “capitalismo illuminato”, per il suo sistema avanzato di relazioni industriali e le sue innovazioni tecnologiche. Questa sua esperienza l’aveva portato a dedicarsi all’analisi del sistema industriale agli esordi del “miracolo economico”. Gallino fu così tra i primi studiosi a porre in luce le modalità e i congegni di razionalizzazione organizzativa che segnarono l’avvento nelle maggiori fabbriche del fordismo, delle sue valenze di carattere produttivo e delle sue implicazioni nella gestione aziendale e nei rapporti con le maestranze. D’altronde l’Olivetti di Adriano e la Fiat di Valletta costituivano allora in Italia i due principali laboratori in cui vennero mutuati e declinati in termini operativi diversi ed emblematici i paradigmi americani del taylorismo e dello scientific management.
Fin dalle sue prime indagini Gallino aveva rivolto una costante attenzione allo scenario industriale europeo e d’Oltreatlantico. Riteneva infatti essenziale, per lo sviluppo di una valida cultura d’impresa, un’adeguata consapevolezza dei molti problemi che restavano da affrontare sulla strada della modernizzazione in un Paese ancora segnato da profondi squilibri e vetusti abiti mentali. Di qui il compito precipuo dell’analisi sociale, di un’opera di ricognizione e verifica rigorosa e ampiamente documentata, per un’effettiva comprensione della realtà, al di là di pregiudizi e schemi ideologici.
L’irruzione alla ribalta dell’operaio-massa al volgere degli anni ‘60, l’accesa conflittualità sindacale nel decennio successivo, la rivalsa dei “quadri intermedi” e la ristrutturazione della grande industria negli anni ’80, la moltiplicazione delle piccole imprese e il trapianto del modello toyotista per la sostituzione della qualità alla quantità, sono state altrettante vicende su cui Gallino ha fornito, grazie a un approccio originale ed equilibrato, analisi efficaci e valutazioni lucide e sagaci.
Autore anche di vari studi teorici, Gallino ha partecipato attivamente alla vita culturale, non solo contribuendo all’apertura del catalogo einaudiano ad alcune opere classiche dalla sociologia americana e della Scuola di Francoforte. Ha promosso un sodalizio, come il Consiglio Italiano delle scienze sociali, per un dialogo fra studiosi di materie e discipline diverse volto all’elaborazione di progetti innovativi nei campo della scuola, della ricerca scientifica e dell’amministrazione pubblica. Inoltre è stato un precursore in Italia nella conoscenza delle nuove tecnologie informatiche.
Aveva sempre auspicato un’evoluzione dell’impresa all’insegna non solo del progresso economico ma di pregnanti finalità di valore sociale e di utilità pubblica. Negli ultimi anni aveva perciò ravvisato nella conversione della grande industria a logiche progettuali e produttive di breve periodo, sempre più avulse da principi di responsabilità e coesione sociale, non già una fase transitoria dell’impresa verso una riorganizzazione calibrata alle sfide della globalizzazione e destinata a una migliore valorizzazione delle risorse e del capitolo umano bensì un’espressione tangibile della sua perdita di centralità e della sua capitolazione alla finanziarizzazione dell’economia.
A rafforzare questa sua convinzione, che l’aveva portato ad esercitare una critica severa nei confronti di un neo-liberismo pervasivo e a briglia sciolta, era sopraggiunta la crisi provocata nel 2008 dagli eccessi di un capitalismo affaristico e speculativo. Di qui le sue appassionate quanto puntuali denunce di questa deriva e delle sue drammatiche conseguenze (dall’aggravamento delle diseguaglianze ai costi umani della precarietà lavorativa, da un deperimento dell’azione politica a uno sfruttamento degradante dell’ambiente). È perciò una sorta di testamento ideale il suo saggio pubblicato da Einaudi il mese scorso, dal titolo Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegata ai nostri nipoti.