MilanoFinanza, 10 novembre 2015
Negli Usa il quantitative easing ha dato i risultati sperati. Anche la Bce può farcela
Dovrebbero riflettere i critici dell’azione della Fed di fronte al calo della disoccupazione Usa al 5% e alla crescita dei salari del 2%. Si deve ammettere che l’espansione monetaria, in specie il quantitative easing di cui la Fed è stata antesignana, ha dato i risultati sperati, anche se l’inflazione è ancora lontana dal target del 2% che anche la banca centrale Usa ha come riferimento per la stabilità dei prezzi. Se i dati di ottobre saranno confermati, allora la Bce, che riunisce il Consiglio direttivo il 3 dicembre, potrebbe dare per scontato che il Fomc, convocato per i successivi 16 e 17, attuerà l’inversione della politica monetaria con una pur modesta restrizione. Sarà, comunque, il segnale che la crescita è ormai in atto. Se si considerano i rapporti tra la Moneta Unica e il dollaro, tale scenario potrà aumentare l’efficacia di un’eventuale decisione della Bce mirata a rafforzare il Qe e a penalizzare i depositi presso di essa (sebbene quest’ultima misura non prometta effetti molto rilevanti), nonché ad adottare qualche altro provvedimento che incanali meglio la liquidità verso l’economia reale. In questi giorni sono state spesso ripetute le dichiarazioni, in specie da Mario Draghi, sulla possibilità che il 3 dicembre si adottino misure volte in modo che il tasso d’inflazione possa avvicinarsi più velocemente a un livello di poco inferiore al 2%, che è l’obiettivo di Eurotower. Non bisogna dimenticare che per la Bce tale risalita rappresenta un vincolo cogente, essendo quello della stabilità monetaria l’unico tassativo mandato che è tenuta ad assolvere. A questo aspetto bisogna dunque guardare per capire le mosse dell’Istituto. Certo, occorre una base stabilizzata di dati, previsioni e stime; bisogna guardare al contesto internazionale nel quale, stando al rapporto di Bankitalia sulla stabilità finanziaria, si accentuano i rischi globali in conseguenza del rallentamento della Cina e delle altre economie emergenti, da cui possono derivare tensioni sul versante dei mercati finanziari, delle materie prime e dei cambi; va quindi considerato che nell’area dell’euro, se è vero che si attenuano le tensioni, è altrettanto vero che l’inflazione resta particolarmente bassa, come precisa il Rapporto, e ciò rende più difficile il riassorbimento dei debiti pubblici e privati. Non va infine trascurata l’esigenza di valutare il quadro degli orientamenti della Commissione Ue, che si conosceranno il prossimo 16 novembre, sulle leggi di Stabilità dei Paesi dell’Unione e dell’Eurozona. Dopo il completamento di una complessa valutazione di questo tipo, è difficile immaginare, a meno che non sopravvengano dati e notizie del tutto imprevisti, che possano sussistere controindicazioni a una manovra dell’Istituto di Francoforte ulteriormente espansiva, dovendosi escludere, per le ragioni sopra riportate, che la Bce voglia attendere, nello stile di S. Tommaso, di constatare de visu le scelte che farà la Fed prima di decidere. Naturalmente non mancheranno, anche se appaiono minoritarie, le posizioni nel Consiglio che non vorrebbero una maggiore espansione perché questa distoglierebbe i partner dalle riforme di struttura e, più in particolare, dall’attuazione degli impegni che verosimilmente accompagneranno le valutazioni comunitarie delle predette leggi. La stessa Bce, nei giorni scorsi, ha invitato a non fare eccessivo ricorso alla flessibilità nell’osservanza del patto di Stabilità, anche in questo caso con la motivazione che ciò potrebbe allontanare dalle riforme e dal riordino dei conti pubblici. Ora, è certamente indiscutibile che il contrasto dei rischi di deflazione è compito anche dei governi e delle politiche economiche, nazionali ed europee. Ma, in quanto unica, fondamentale, missione che a essa fa capo, la Bce non potrebbe attendere che gli esecutivi facciano la propria parte prima che essa ricorra alle misure che il mandato le impone. E dovrebbe essere chiaro che, pur non essendo gli interventi specificati – anche perché la missione è sancita nel Trattato Ue che non può soffermarsi a dettagliare – risultano sicuramente legittimi qualora essi siano chiaramente riconducibili alla finalità da perseguire.
È ora possibile che considerazioni di questo genere comincino a prendere piede, sicché si potrebbe arrivare a ridosso del 3 dicembre, sempre che il 16 prossimo non emergano fattori che impongano ulteriori riflessioni, con i mercati che abbiano già scontato una parte rilevante delle possibili nuove misure. Insomma, alla luce di quanto sta avvenendo nelle principali aree monetarie e del fatto che nell’Eurozona è in atto la ripresa dell’attività produttiva, una nuova e decisa spinta espansiva della politica monetaria potrà risultare non solo utile ma anche necessaria, per battere il ferro caldo, non dimenticando il prius dal quale una tale spinta è imposta, cioè un’inflazione particolarmente bassa.