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 2015  novembre 10 Martedì calendario

In quanto a "biscotti" sportivi, la Spagna ha ben poco da insegnare all’Italia, che iniziò a sfornarne già ai Mondiali di calcio del 1934

In principio era il verbo, anzi il cavallo. Deriverebbe infatti da una galletta impastata con sostanze stimolanti, data al cavallo prima della corsa, l’uso del termine “biscotto” per una competizione sportiva il cui risultato sia falsato. In realtà, poi nell’uso comune “biscotto” si riferisce a quelle sfide aggiustate e concordate entro i limiti del lecito, se non della morale almeno della giustizia sportiva, e non alle gare taroccate in maniera criminale per soldi o doping.
“Biscotto” è la parola pronunciata da Valentino Rossi nel pomeriggio di domenica a Valencia, dopo che Marc Marquez ha effettivamente scortato il connazionale spagnolo Jorge Lorenzo verso il titolo – guidando in maniera assai insolita per un pilota abituato a tentare il sorpasso in ogni situazione – come forse ha cominciato a fare dal Gp d’Australia, come forse ha fatto dopo averlo concordato nel famoso Patto di Andorra tra i due piloti. “Biscotto” è la parola utilizzata sui social network da varie celebrità o presunte tali per mostrare la loro solidarietà a Valentino Rossi e vivere i loro 15 minuti di celebrità riflessa sulle tragedie del pilota. “Biscotto” è anche la parola che lunedì è apparsa su quasi tutta la stampa italiana, prodiga di critiche nei confronti della perfida Spagna e pronta a ricordare con afflato patriottico l’ignobile alleanza anti-italiana che portò Danimarca e Svezia a pareggiare 2-2 agli Europei 2004 in Portogallo: unico risultato che le avrebbe qualificate entrambe a spese degli Azzurri di Trapattoni.
Il calcio in effetti è un enorme scatolone di “biscotti”, basti pensare ai finali di campionato, ovunque e a qualsiasi livello, quando le squadre si concedono risultati favorevoli: indipendentemente che poi decidano di scommettere o di scambiarsi giocatori l’anno seguente in segno di gratitudine.
Tra i più clamorosi, perché disputati ai Mondiali: nel 1978 il 6-0 al Perù con cui l’Argentina della dittatura si garantisce l’accesso in finale; nel 1982 l’1-0 all’Austria con cui la Germania si sbarazza dell’Algeria, salvo che pochi anni dopo Madjer vendica il paese con il “tacco di Allah” con cui il Porto vince la Coppa dei Campioni contro il Bayern; e nel 1998 il 2-1 concesso dal Brasile alla Norvegia per estromettere il Marocco. Ma i “biscotti” sono frequenti in tutti gli altri sport, dal basket al ciclismo, dal tennis alla pallavolo, fino allo stesso motociclismo.
Uno dei più clamorosi riguarda Loris Capirossi, oggi commentatore televisivo e moralizzatore dei costumi altrui, che nel 1990 in classe 125 vince il titolo con l’aiuto dei connazionali Casanova, Romboni e Gresini che nell’ultima gara fermano l’olandese Spaan: il loro comportamento è così evidente e clamoroso che durante la gara Spaan, indispettito, molla un plateale pugno a Gresini. In fondo l’Italia si può dire che sia il pastificio più antico – ai Mondiali fascisti del 1934 e del 1938 i due più pericolosi avversari, lo spagnolo Zamora e il brasiliano Leonidas, casualmente non scendono in campo contro la squadra di Pozzo – e il più produttivo – basti ricordare l’1-1 col Camerun ai Mondiali di Spagna 1982, o il 6-1 con cui la Russia sconfigge sempre il Camerun ai Mondiali di Usa 94, a beneficio della squadra di Sacchi che passa come miglior terza –.
Perché al di là degli editoriali patriottici e delle articolesse indignate contro i “biscotti” altrui, l’Italia resta sempre il paese in cui il capitano della Nazionale Gigi Buffon può tranquillamente legittimare il “biscotto”, per di più nel pieno di un’indagine sul calcioscommesse, dicendo che è “meglio avere due feriti che un morto”.