il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2015
La vera storia della “descoverta de le Americhe” in base alle memorie di mozzi e marinai. Anticipazione dal nuovo libro di Dario Fo
Pubblichiamo di seguito un’anticipazione da “Storia proibita dell’America” (Guanda) di Dario Fo, in libreria il 13 novembre.
Nel maggio 1513, lo spagnolo Juan Ponce de León fu il primo europeo a raggiungere la Florida a capo di una banda di conquistadores, dopo alcune esperienze vittoriose degli spagnoli che in altre zone, con poche decine di uomini armati di fucili, avevano terrorizzato e sbaragliato eserciti di indios composti da migliaia di guerrieri con archi e lance. I conquistadores sbarcarono sulla costa occidentale, probabilmente alla foce del fiume Caloosahatchee, proprio nel territorio dei Calusa.
Calata l’ancora delle navi, Ponce de León tentò di proporre agli indigeni dei baratti. Dieci giorni più tardi si presentò da lui, come interprete dei nativi, un uomo Calusa che parlava spagnolo e disse che dovevano aspettare il loro capo. Poco dopo venti canoe da guerra, con paratie di protezione di legno, attaccarono le navi spagnole scagliando centinaia di frecce.
Il giorno seguente i Calusa attaccarono di nuovo con ottanta canoe. Non ci furono molti caduti, ma la reazione dei Calusa indusse Ponce de León a ritirarsi tornando verso i Caraibi. Certamente gli spagnoli provarono stupore entrando in contatto con indigeni che conoscevano lo spagnolo, ma soprattutto furono sorpresi dal constatare che per la prima volta dei nativi non mostravano terrore dinnanzi agli scoppi prodotti dalle armi da fuoco e alla vista dei cavalli. Come era possibile? Cosa li rendeva tanto diversi dagli altri nativi americani? Non sappiamo che cosa rispondere, se non immaginando che essi avessero già conosciuto uomini spagnoli sbarcati anni prima su quelle stesse terre (…).
La prima fase della conquista dell’America, nel Cinquecento, fu molto caotica. Furono probabilmente parecchi i naufraghi che, trascinati dalla tempesta, approdarono qua e là sull’immensa costa atlantica, venendo a contatto con le popolazioni native prima dell’arrivo delle spedizioni ufficiali dei conquistadores.
E vi è chi sostiene che si aggirassero per i territori indiani degli sbandati, uomini scampati a distruzioni e battaglie, rinnegati che avevano disertato l’armata spagnola, schiavi fuggiti dai primi insediamenti europei fortificati. Di questi primi bianchi che entrarono in contatto con i nativi, individualmente o a piccoli gruppi, conosciamo ben poco. Il primo caso documentato è quello dello spagnolo Gonzalo Guerrero, che fece naufragio sulle coste dello Yucatán nel 1511. Poi ci furono Álvar Núñez Cabeza de Vaca, Andrés Dorantes de Carranza, Alonso del Castillo Maldonado e lo schiavo di Dorantes de Carranza, Esteban, di origini marocchine, che dopo essere sopravvissuti al naufragio di una delle navi della spedizione del 1527 di Pánfilo de Narváez, approdarono in Florida. Inizialmente catturati da una tribù schiavista, i quattro uomini vengono poi venduti ai Calusa, che li trattano in modo amichevole. Essi si fingono guaritori e diventano mercanti, iniziando un difficilissimo viaggio per tornare tra i bianchi. Riescono a percorrere a piedi centinaia di chilometri, e dopo otto anni di permanenza tra gli indios della costa, raggiungono una colonia spagnola.
Altri superstiti hanno lasciato diari scritti in idiomi fra il catalano e il castigliano, con brani stesi in linguaggi in uso fra i marinai provenienti dai vari paesi del Mediterraneo. In poche parole, qui non ci troviamo davanti a testimonianze di ammiragli o capitani, ma a memorie della ciurma che ha partecipato alla descoverta de le Americhe. Ed è proprio attraverso questi scritti che abbiamo costruito il racconto-monologo messo in scena qualche anno fa dalla nostra compagnia, in Italia e quindi in tutta Europa (…). Il racconto parte dalla descrizione di un naufragio nel quale, come sempre, i sopravvissuti sono pochi. I superstiti finiscono nelle mani di una tribù che li accoglie quasi amorevolmente, ma ahimè, dopo alcuni giorni, scoprono che quella tribù usa allevare i prigionieri come animali da cortile, per poi macellarli una volta che abbiano raggiunto un buon peso.
Sarà un’altra tempesta a salvare l’equipaggio da arrosto, giacché il protagonista, un mozzo proveniente da Chioggia, riesce a prevedere con anticipo il sopraggiungere di un uragano di forza inaudita. Con gesti e parole inventate, il chioggiotto convince la tribù a rifugiarsi dentro una grotta posta alla cima di una possente collina, e quando il fortunale giunge alla costa distruggendo ogni cosa, i nativi con le loro famiglie e i prigionieri si salvano miracolosamente. Da quel momento il chioggiotto è considerato uno sciamano. La tribù non decide il da farsi se prima non ha avuto il consenso da parte del salvatore. E qui inizia il viaggio verso sud, in cerca di una costa che non sia stata distrutta dalla tempesta.
Finalmente la trovano, ma le tribù che sono scampate al fortunale sono state fatte schiave dai conquistadores spagnoli. Ormai i marinai hanno scelto di stare dalla parte dei nativi e, grazie alla loro esperienza diretta, riescono a organizzarsi in modo da porre in scacco i colonizzatori. Il luogo di cui costoro prendono possesso viene chiamato Florida, ed è lì che i sopravvissuti dall’uragano incontrano per la prima volta i Calusa, con i quali organizzeranno la cacciata degli spagnoli agli ordini di Ferdinando d’Aragona.