La Stampa, 10 novembre 2015
La fragile Suun Kyi che ha vinto le elezioni in Birmania e sulla quale non mancano dubbi
C’è anche una collezione di orchidee, nella casa coloniale sul lago Inya, che per quindici anni è stata la prigione di Aung San Suu Kyi. Un fiore, fra i suoi capelli, non manca mai. La gentilezza dell’immagine, però, non può essere la cifra della sua politica, e dopo la vittoria a valanga nelle elezioni di domenica è arrivato il momento di dimostrare se la «Signora» ha le qualità e la forza di cambiare la Birmania. Sono quattro i nodi da sciogliere, che si intrecciano alla sua biografia e all’eredità del padre: il rapporto con le minoranze, con i militari, con la Cina, e la visione per il futuro economico del Paese.
Aung San, padre della Signora e della patria a cui lei si ispira, fu il primo a cercare di risolvere in maniera sistematica i contrasti etnici della Birmania con la conferenza di Panglong, tenuta cinque mesi prima del suo assassinio. Quei contrasti sono ancora vivi, e durante la campagna elettorale la leader della National League for Democracy è stata accusata di trascurarli, in particolare le violenze commesse contro i musulmani Rohingya nello Stato di Rakhine. Il suo silenzio è stato spiegato con la necessità di non perdere voti tra la maggioranza Bamar, a cui lei appartiene, fedele al buddismo theravada.
Politica pragmatica
Aung San Suu Kyi ha sempre detto di essere una politica pragmatica, non un’icona, e neppure un’attivista dei diritti umani. Ora che le elezioni sono vinte, però, non ci sono più giustificazioni: se vuole guidare un Paese democratico, tollerante e unito, deve dare garanzie alle minoranze.
Il padre Aung San era un generale, e i militari hanno ancora rispetto per lui. Lei però era il nemico e, oltre ad imprigionarla, hanno scritto la costituzione in modo da negarle la possibilità di diventare presidente, in quanto moglie e madre di cittadini stranieri. La Nld vorrebbe cambiare questa costituzione, ma per farlo serve oltre il 75% dei voti nel Parlamento, dove i militari conservano per legge il 25% dei seggi. La Signora ha detto che può governare al di sopra della presidenza, magari puntando alla premiership. I generali però ora sanno che se rispettano la democrazia, lei vince. Aung San Suu Kyi quindi dovrà fare un difficile gioco di equilibrio, per prendere il controllo del Paese senza che i soldati facciano fuori Thein Sein, il presidente con cui ha dialogato, per sostituirlo con un uomo forte e riprendersi il potere, alla faccia delle proteste e delle sanzioni internazionali che seguirebbero.
L’espansionismo cinese
Quando la Signora fu liberata, nel novembre del 2010, molti osservatori occidentali avanzarono il sospetto che i militari lo avessero fatto per proteggersi dall’espansionismo cinese. Pechino aveva sempre difeso la giunta, ma si stava anche impadronendo fisicamente della parte orientale più ricca del Paese, davanti ai suoi confini. I generali quindi avevano cercato di equilibrare questa ingerenza, aprendo all’Occidente. In un’intervista del febbraio 2012, la leader della Nld ci aveva detto di sperare che «la Cina non ci consideri solo un’opportunità commerciale». Questa adesso è forse la sfida geopolitica più complessa che l’attende.
Il futuro del Paese
Aung San era stato fra i fondatori del Partito comunista birmano, e poi aveva lavorato con i socialisti. Erano alleanze che gli servivano per favorire l’indipendenza, ma toccavano anche la sua visione per il futuro del Paese. Diversi interlocutori occidentali che hanno incontrato di recente la Signora non hanno nascosto una certa delusione per come lei interpreta l’economia. Hanno notato una visione poco dinamica, proiettata troppo verso il passato. Aung San Suu Kyi ha vissuto per quasi vent’anni agli arresti domiciliari o in isolamento, e l’intera leadership della National League for Democracy ha sofferto i limiti di questa condizione. Lei stessa ci aveva detto che «siamo un Paese sottosviluppato. Ci servono buoni investimenti e buoni aiuti, un sistema bancario funzionale, riforme che liberino le potenzialità della nostra gente». Adesso, se potrà governare, dovrà realizzarle.
Alle elezioni birmane è dedicato Il Fatto del Giorno