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 2015  novembre 07 Sabato calendario

Bankitalia, insieme alle imprese si stanno rafforzando anche le banche

Basta un poco di crescita per guardare con più ottimismo allo scenario economico e bancario italiano. Il rapporto della Banca d’Italia sulla stabilità finanziaria pubblicato ieri stempera gran parte delle preoccupazioni che venivano espresse ancora nel mese di aprile e introduce note di cauto ottimismo. È la prova definitiva che i problemi finanziari del paese venivano soprattutto dalla caduta dell’attività produttiva iniziata nel 2007 che aveva fatto peggiorare visibilmente tutti gli indicatori utilizzati per valutare la stabilità finanziaria. Il successo della politica monetaria aggressiva della Bce ha riportato il segno positivo nelle statistiche del pil italiano e ha cambiato radicalmente lo scenario finanziario: il rapporto ci dice che si rafforza la situazione delle imprese, volgono al bello gli indicatori di sostenibilità del debito pubblico, migliorano le condizioni economiche e patrimoniali delle banche.
Questo rapido miglioramento è dovuto ad un fattore comune agli altri paesi: il livello eccezionalmente basso dei tassi di interesse, che ovviamente migliora le condizioni di tutti i debitori, ma anche ad un fattore specifico italiano e cioè al fatto di avere un debito privato notevolmente inferiore alla media europea. Non siamo quindi costretti alla riduzione di un debito eccessivo precedente che invece affligge altri paesi, con connessi effetti depressivi.
Anche il credit crunch per le imprese si sta finalmente esaurendo e nel 2016 si registreranno finalmente tassi positivi di aumento. Ma quel che più conta è che stanno già crescendo i prestiti alle imprese meno rischiose e che ciò ha un effetto positivo sui piani di investimento. Per contro, si riduce significativamente il numero dei soggetti finanziariamente fragili: secondo la stima del rapporto, da un terzo circa delle imprese nel 2013 a un quarto nel 2016.
Ovviamente, il graduale miglioramento dell’economia si riflette sulle condizioni delle banche italiane. Appare finalmente in attenuazione il problema fondamentale degli ultimi anni, cioè l’aumento dei crediti a rischio, che hanno raggiunto l’impressionante cifra di 361 miliardi a giugno 2015.
La buona notizia è che il flusso in entrata si va finalmente riducendo. La cattiva notizia è che il anche il flusso in uscita è scarso perché stenta ad avviarsi un mercato dei crediti deteriorati. Ma anche in questo campo, nonostante gli ostacoli alla realizzazione della bad bank che ancora nel rapporto di aprile veniva indicato come la via maestra, le recenti riforme sul trattamento fiscale delle perdite e sulle procedure di recupero dei crediti dovrebbero notevolmente accelerare la chiusura delle posizioni in contenzioso.
Pur in un quadro di redditività contenuta, migliora anche la patrimonializzazione delle banche italiane, che, grazie agli aumenti di capitale recenti, si avvicina alla media europea. Il che è un ottimo biglietto da visita in vista dei prossimi stress test, anche perché – come ricordato ieri sul «Sole-24Ore» – questa volta l’Eba prenderà in considerazione anche rischi, in particolare quello operativo e reputazionale, che coinvolgono le banche europee al centro di scandali come quello sul Libor, ma non quelle italiane.
Il caso vuole che ieri sia stato esaminato il decreto legislativo che recepisce la direttiva europea in materia di risoluzione delle crisi bancarie e introduce il principio del bail-in, per effetto del quale alcune categorie di creditori della banca (ma non i depositanti assicurati) saranno chiamati a sopportare il costo di un dissesto. Sotto alcune condizioni, si potrà fare appello ad un fondo finanziato dalle stesse banche, mentre l’intervento pubblico sarà consentito dopo questi due passaggi.
Anche questo passaggio _ che è auspicabile venga perfezionato quanto prima dal Governo _ potrà essere guardato con ottimismo dalle banche italiane, che a differenza di quelle di altri paesi, non hanno gravato sulle tasche dei contribuenti, mentre le loro consorelle sono costate il 5 per cento del pil in Spagna, il 22 in Irlanda e Grecia e l’8 per cento in Germania. Il nuovo meccanismo di risoluzione delle crisi è un pilastro fondamentale dell’Unione bancaria, ma anche un potente fattore di livellamento di vantaggi competitivi indebitamente concessi alle banche di alcuni paesi nel falso mito della protezione dei campioni nazionali.
Insomma, per la prima volta i rischi per la stabilità finanziaria vengono da fattori esterni: i timori sugli effetti del prossimo rialzo dei tassi americani o britannici (con conseguenze sul movimento di capitali e sui cambi) e il rallentamento dei paesi asiatici, Cina in testa. Ma non dall’Europa e tanto meno dall’Italia. È un elemento confortante, che nello stesso tempo mette in evidenza quanto sia importante consolidare i risultati raggiunti. Non solo perché la crescita è ancora modesta, tanto che dovranno passare ancora alcuni anni (cinque secondo il Fondo monetario) prima di tornare ai livelli di reddito pre-crisi, ma anche perché anche in campo finanziario molto rimane da fare: basti pensare alla necessità di irrobustire il ricorso delle imprese al mercato dei capitali e a quello azionario in particolare, visto che permane un problema di sottocapitalizzazione nel confronto internazionale. Molto rimane da fare, ma l’Italia sta ritrovando i suoi punti di forza nelle imprese più competitive, nel risparmio delle famiglie, nelle banche: Ricomincio da tre, avrebbe detto il grande Troisi.