la Repubblica, 10 novembre 2015
È impossibile rendere un aereo sicuro al cento per cento dagli attacchi dei terroristi
MILANO Controllatissimi. Protettissimi. Eppure ancora vulnerabilissimi. La tragedia del volo Metrojet 9268 esploso a 33mila piedi di quota sopra il Sinai ha fatto riesplodere la “sindrome della falla” che dalle Torri Gemelle angustia i responsabili della sicurezza dei 100mila aerei che decollano ogni giorno nel mondo. La teoria dice che dovrebbero essere fortezze volanti: ci sono i controlli ferrei imposti a tutti dall’International civil aviation organization. Ci sono i maxi investimenti (8 miliardi all’anno solo negli Usa) per blindare i cieli dopo le Torri Gemelle: scanner corporali, raggi X per fiutare molecole esplosive e banche dati per incrociare i dati dei passeggeri in grado di ridurre a zero, speravano gli esperti, i margini di rischio.
Invece no. Tutta la razionalità, i dollari e la tecnologia del mondo non sono bastati a mettere a punto un sistema affidabile al 100%. L’aereo, lo dicono le statistiche, rimane il mezzo di trasporto più sicuro al mondo. Ma bastano un pilota con pulsioni suicide (vedi alla voce Germanwings), un missile fantasma come quello che ha abbattuto il volo Malaysian in Ucraina o un dipendente corrotto in grado di nascondere un ordigno a bordo – come si sospetta sia successo a Sharm el-Sheikh – per far spuntare l’ennesima falla nella filiera dei controlli. E costringere le autorità a metterci una toppa aggiornando, budget permettendo, regole e manuali operativi.
La tragedia nei cieli dell’Egitto, da questo punto di vista, è un caso di scuola. Trarre conclusioni sulle cause dell’incidente ora è prematuro. Ma i servizi occidentali, dopo un primo ascolto delle scatole nere, parlano dell’esplosione di un ordigno, nascosto forse in una valigia nella stiva. Il problema è che una bomba, norme alla mano, non sarebbe mai dovuta arrivare lì. I controlli di sicurezza per un bagaglio consegnato al check-in sono rigidissimi. Tutti passano sotto una prima macchina ai raggi X «in grado di individuare il 99% delle molecole utilizzate per confezionare esplosivi», racconta uno dei massimi esperti di sicurezza aerea dell’intelligence tricolore. I colli che passano indenni questo primo controllo – circa il 70% – proseguono direttamente verso l’imbarco. Quelli “sospetti” vengono sottoposti a una radiografia-bis da un ispettore. I promossi continuano la loro strada verso la stiva. Gli altri, in genere una decina, affrontano la verifica finale: una tomografia assiale computerizzata per vivisezionare ogni singolo oggetto.
Le possibilità che un ordigno superi questi controlli – dicono gli 007 – è nulla. Peccato che a Sharm, se valgono le ipotesi degli inquirenti, il pacco-bomba non abbia seguito questa trafila, ma sia stato infilato a bordo direttamente da un operatore di terra. La falla, appunto. «Che il piazzale sotto la pancia dell’aereo sia a rischio è chiaro da tempo», racconta dietro anonimato il responsabile della sicurezza di uno dei due maggiori aeroporti italiani. Gli scali dei voli – per le esigenze di risparmio delle compagnie – sono sempre più brevi. Sui piazzali, tra il viavai di catering, tecnici per i rifornimenti e per la logistica, i controlli sono sempre più complessi. E gli appalti per questi servizi sono assegnati in alcuni Paesi quasi sempre al ribasso ad aziende «che utilizzano personale sottopagato». Molto più sensibile, ovvio, a tentativi di corruzione. Che fare allora? «Si ragionerà quando sapremo le cause della tragedia», assicurano all’Icao. Ma un potenziamento dei controlli video nei piazzali degli aeroporti (la Northeastern University sta studiando telecamere in grado di segnalare comportamenti “anomali” del personale) è scontato. Assieme all’ipotesi – invisa ai vettori – di obbligare i passeggeri a riconoscere i bagagli prima di imbarcarli in stiva.
Trovare le falle dopo ogni incidente è relativamente facile. Non sempre però è possibile tapparle. Dopo l’11 settembre sono stati introdotti gli ispettori a bordo e le porte blindate per impedire ai passeggeri di entrare nelle cabine di pilotaggio. Misure pagate carissime (le spese per la sicurezza sono quadruplicate dal 2001) ma ritenute unanimemente efficaci. Non sempre però il gioco vale la candela. I meccanismi per depistare i missili come quello sparato contro l’aereo in Ucraina esistono. Li utilizzano i jet militari, sono stati montati su quelli della compagnia aerea israeliana El Al. Ma piazzarli su tutti gli aerei, in base alle gelide norme della statistica, sarebbe un salasso rispetto al rischio reale.
Tutto ha un prezzo. E il rapporto costi-benefici vale pure per le tragedie aeree. L’università australiana di Newcastle ha calcolato quanto si deve investire per salvare una vita a bordo: i vigilantes in cabina costano 180 milioni a passeggero salvato. Troppo, sentenziano i ricercatori. I portelloni blindati, finanziariamente più accettabili, 800mila dollari. Stando ai parametri scientifici, anche le procedure di sicurezza al check-in sono un lusso da 700 milioni. Tanto? Può darsi. Il vero problema però – visto con l’occhio del passeggero – non è la spesa, ma l’efficacia. E qui, proprio nei blindatissimi Stati Uniti, è cascato l’asino.
IL BLITZ DELLE “SQUADRE ROSSE”
Le “Squadre rosse” del Dipartimento alla sicurezza Usa, scafatissimi agenti che conoscono tutti i segreti della security aerea, hanno provato qualche mese fa a far entrare a bordo pistole giocattolo simili in tutto e per tutto a quelle vere. Risultato: in 67 casi su 70 l’hanno fatta franca. Cosa succederebbe se il loro raffinato know-how l’avessero anche i terroristi? Il responsabile della Transportation security administration (Tsa), l’agenzia incaricata dei controlli negli scali a stelle e strisce, ha preferito non attendere la risposta e si è dimesso. Ridando fiato a chi sostiene che le procedure di sicurezza hanno solo effetto deterrente e che i 7 miliardi spesi ogni anno dalla Tsa sono, per assurdo, fin troppi.
Volare sicuri al 100%, insomma, resta un’utopia. Il futuro, oltretutto, apre la porta a nuove sfide da fantascienza. Il boom del wifi a bordo, dicono le Cassandre, potrebbe consentire a qualche hacker di prendere il controllo di un aereo da terra. «Non c’è un rischio di questo tipo», garantiscono le compagnie. Ma gli esperti sono già al lavoro sulle contromisure per tappare anche questa falla senza spendere un occhio. La salute non ha prezzo, la sicurezza a bordo purtroppo sì.