Corriere della Sera, 10 novembre 2015
L’ultima Bond-girl, Léa Seydoux, giudica le sue colleghe
Léa e le altre (Bond Girl). Léa Seydoux è entrata al cinema dalla porta principale: al Festival di Cannes era lesbica nello splendido La vita di Adele di Kechiche. Ha lavorato con Woody Allen e Wes Anderson. Ma la fama planetaria le verrà da Spectre di Sam Mendes. Le abbiamo proposto un gioco, l’ha accettato col sorriso: Léa che giudica le altre Bond Girl. Dagli anni 60 a oggi, le protagoniste femminili di 007 hanno accompagnato il costume e l’emancipazione femminile, da ochette a bordo piscina, a donne indipendenti.
Léa, chi è la sua Bond Girl preferita?
«Eva Green, in Casino Royale con la sua Vesper ha creato qualcosa di nuovo, è cambiata la prospettiva nel personaggio femminile. Per la prima volta è un carattere reale, e con Daniel Craig, al suo primo 007, ha un rapporto alla pari, non ha alcun timore reverenziale, e vivono una vera storia d’amore, anche se breve, non un flirt».
Strano, in genere si dice sempre Ursula Andress.
«Appartengo a un’altra generazione. Il pezzo di sopra del suo bikini, nella scena in cui esce dall’acqua, era il suo reggiseno. Non trovo giusto dire che all’inizio le Bond Girl fossero belle statuine. Ursula Andress in Licenza di uccidere è tutto fuorché una bella statuina».
Il cinema in quegli anni pendeva ancora dalle labbra di Marilyn Monroe.
«E la Andress impose nel suo 007 il modello della donna dinamica, energica, atletica. Il cinema ne fu sorpreso».
Honor Blackman in «Goldfinger» si chiama Pussy Galore: oggi sarebbe impensabile un nome del genere…
«Grazie a Dio abbiamo archiviato i doppi sensi sessuali. Oggi c’è bisogno di eguaglianza tra i generi. Non siamo più oggetti sessuali. Le donne vogliono identificarsi in un personaggio femminile».
Daniela Bianchi in «Dalla Russia con amore» è la prima e unica vera coprotagonista italiana in un film di Bond.
«Mi spiace, mai sentita. Confesso di non aver visto tutta la saga. Ho trent’anni, sono cresciuta con altri modelli, mi viene in mente La Bella e la Bestia, che in un adattamento ho interpretato anch’io».
La svedese Maud Adams è l’unica presente in tre film di 007, due apparizioni in «L’uomo dalla pistola d’oro» e «Bersaglio mobile», e protagonista in «Octopussy».
«Interessante. Però io ricordo Carey Lowell, che in Vendetta privata ha davvero segnato i tempi. Erano gli Anni 80, imperversava l’Aids e lei nemmeno sapeva se poteva baciare 007, che era Timothy Dalton. Sul piano sociale e del costume è stata importante anche Grace Jones, prima Bond Girl nera. E se vogliamo parlare di un’icona, voto la M di Judi Dench».
Non abbiamo ancora speso una parola su Sean Connery.
«L’ho recuperato in tv, lo trovo old fashion, ma ora che sono un’attrice mi rendo conto di quanto sia bravo».
In «Spectre» c’è, come Bond Lady, Monica Bellucci.
«È ancora bella, non ha bisogno di chirurgia plastica. È un esempio importante per le donne. Si può essere attraenti a cinquant’anni. La vera seduttrice nel film è lei, non io».
Esiste uno stile nel modo di vestire delle Bond Girl?
«Una volta portavano grandi cinte e poca gioielleria. A me piace come veste la mia Madeleine Swann: di nero, semplice ma chic».
Com’è la sua Madeleine?
«Non è un cliché, è in gamba e fragile. Somiglia allo 007 di Daniel Craig, che trovo anche romantico. È figlia di un assassino, conosce il mondo di Bond».
Lei potrebbe innamorarsi di un tipo come il nuovo 007?
«No, non mi innamoro di un killer. Anche se la passione non si accende solo con i buoni, anzi».
È vero che lei si presentò mezza ubriaca al provino?
«No, hanno esagerato, nell’attesa ho bevuto qualche sorso di birra. Tutto qui. C’era una lunga lista per quel ruolo».
Come mai tante Bond Girl sono scomparse dai radar del cinema?
«È vero ma sono ventiquattro film, poteva capitare».
Cosa le lascia questo film?
«Ho lavorato sul mio accento inglese e praticato tanto sport. È come entrare a far parte di un club, ho vissuto in un gigantesco luna-park; è un dono che ho ricevuto»