la Repubblica, 10 novembre 2015
Antonio ha premeditato l’assassinio dei genitori di Chiara. Prima di uscire di casa ha scritto tre lettere in cui preannunciava il delitto. Il padre in coma irreversibile
ANCONA. “Confesso l’omicidio di Fabio Giacconi e Roberta Pierini”, ha scritto Antonio Tagliata in un post-it lasciato in casa come se stesse per uscire a far la spesa, prima di caricarsi le tasche di proiettili e di andare a massacrare i genitori della sua fidanzatina. Altro che “siamo andati lì per un chiarimento”: aveva già confessato il duplice delitto prima di commetterlo. Quel bigliettino “l’ho scritto per evitare guai a mio padre”, ha provato a giustificarsi arrampicandosi sugli specchi del comando provinciale dei carabinieri in cui lo stavano interrogando, durante la prima deposizione: «Ero sicuro che sarei morto e volevo proteggerlo, perché lui ha già avuto problemi con la giustizia». Un ragionamento che difetta di logica: la sua posizione appare compromessa, ma proprio la giustificazione funambolica fornisce alla difesa una chiave: «Faremo valutare il suo stato mentale da un medico, faremo fare una perizia per verificare se chiedere la seminfermità», annuncia il suo avvocato Luca Bartolini riepilogando i conti che non tornano: «I tentativi di suicidio, l’autolesionismo provando a spaccarsi la testa sullo stipite della porta, la pistola offerta alla ragazza tenendola per la canna e chiedendole di sparargli, il suo sentirsi minacciato dal padre di lei al punto da fare quello che ha poi fatto...».
Ma nel frattempo Fabio Giacconi, il papà della ragazzina, da ieri è in coma irreversibile, e anche i parametri vitali sono flebili. Quel bigliettino, forse, avrebbe potuto salvarlo, se Carlo Tagliata e la moglie lo avessero trovato per tempo. Invece, prima di uscire di casa Antonio ha lasciato altre tre lettere indirizzate ai suoi genitori e ai tre fratelli: chiedeva scusa “per il gesto che sto per fare”, parole che loro hanno interpretato come l’annuncio di un suicidio. Sono corsi in questura per chiedere aiuto, senza sapere che nel frattempo stava riempiendo di sangue l’appartamento della ragazzina.
Eppure, lui nella deposizione ha detto di essere andato là per tentare di parlare ai genitori, non per ucciderli. Una versione su cui anche lei è allineata. Ma si era portato dietro un arsenale. Ottantasei proiettili, munizioni a sufficienza per scatenare un inferno. Erano accanto all’arma abbandonata in un cassonetto da Antonio e dalla sua fidanzatina 15enne – non ha ancora compiuto i 16 anni - dopo il massacro di via Crivelli. Quando i carabinieri lo hanno aperto, rintracciandolo su sua indicazione, non potevano credere ai loro occhi: il pistolone calibro 9 con matricola abrasa da criminali incalliti, svuotata per metà a casa della ragazzina per uccidere sul colpo mamma Roberta e ferire in modo gravissimo papà Fabio, era accanto a due caricatori con 15 colpi e a una scatola da 50 proiettili: “In tutto 86 colpi”, spiegano gli inquirenti.
Per quale ragione si era portato dietro una simile santabarbara? Certo non per suicidarsi, come ha detto di aver progettato prima di sparire per riemergere da assassino in fuga alla stazione di Falconara. Ma erano troppi anche per il delitto commesso, persino se pianificato con premeditazione come appare oggi, un’aggravante che tuttavia al momento non viene contestata né dai pm della procura di Ancona né dai colleghi della procura dei minori che indagano sulle responsabilità della ragazzina.
Rinchiusa nel Centro di prima accoglienza per minori del capoluogo marchigiano in attesa della decisione sulla convalida del fermo, prevista oggi, la ragazzina non ha accesso alla tv né ai giornali: «Meglio così, almeno le si evita il trauma di vedere che anche il ragazzo l’ha abbandonata cercando di scaricare su di lei le responsabilità», dice il suo avvocato, Paolo Sfrappini, che ieri è andato a visitarla trovandola “molto provata”. «Le versioni dei due ragazzi non collimano”, conferma il capo della procura del Tribunale dei minori, Giovanna Lebboroni, e non è questione di sfumature. Lui, spiega il pm Andrea Laurino, ha messo a verbale che la ragazzina gli ha urlato “spara, ammazzali”. Lei, secondo il suo avvocato, non solo non ha pronunciato l’invocazione ma ha detto di essere “rimasta impietrita” quando lui ha estratto l’arma. Otto colpi sono una piccola eternità. La mamma, centrata al braccio e poi in testa, cade in salotto a un passo da Antonio: l’incrocio tra l’autopsia che sarà effettuata domani e i rilievi del Ris riveleranno se il secondo colpo alla testa sia stato sparato d’impeto o se sia arrivato dopo, come un orrendo colpo di grazia. Poi la canna è rivolta verso papà che fugge atterrito in direzione del balcone. “Aiuto!”, urla. Ma è in trappola, al quarto piano.