Corriere della Sera, 10 novembre 2015
La Russia accusata di aver dopato i suoi atleti, potrebbe essere esclusa dalle Olimpiadi di Rio
L’atletica leggera russa va fermata, subito. Perché non alteri ancora l’attendibilità di competizioni sportive trasformate in farsa grazie al doping. Una sospensione (fino a due anni) che impedirebbe ai russi di partecipare anche ai Giochi Olimpici di Rio.
Un provvedimento senza precedenti, con enormi implicazioni politiche, chiesto ieri a Ginevra da Dick Pound, presidente della Commissione Indipendente dell’Agenzia Mondiale Antidoping (Wada). Presentando le 323 pagine del dossier, Pound non è stato diplomatico: «Giorno nero per lo sport. Fiducia popolare umiliata. Nell’atletica russa il doping è totale e di Stato. Le medaglie vinte da quel paese a Londra 2012 – 17 tra ori, argenti e bronzi – hanno sabotato i Giochi». La proposta di Pound è recepita da Seb Coe, nuovo presidente della Iaaf, quella federazione internazionale di atletica che pure è pesantemente coinvolta nello scandalo: «Considereremo ogni sanzione, sospensione compresa». Dura la reazione del ministro dello sport russo, Vitaly Mutko, che ha parlato di accuse politiche e prove inesistenti. Lo stesso Mutko – presidente dei Mondiali di calcio 2018 – aveva però offerto scarsa collaborazione agli ispettori Wada.
Il quadro delineato dal rapporto (sei mesi d’interviste, intercettazioni, analisi di dati bancari, sopralluoghi) è devastante. Autorità statali e sportive, federazioni, allenatori e atleti associati in un programma dopante che prevedeva ogni possibile contromisura per evitare o depistare i controlli. Agli atleti scoperti veniva chiesto denaro che in parte finiva nelle tasche degli stessi tecnici e in parte confluiva a una «cupola» in seno alla federazione internazionale. Questa corposa sezione del dossier ieri non è stata resa nota, su richiesta delle autorità francesi e dell’Interpol, che hanno in corso un’inchiesta. Sul fronte federale sono nei guai l’ex onnipotente presidente della Iaaf, Lamine Diack, due suoi figli (avrebbero raccolto i soldi pagati dagli atleti) e l’ex capo dell’antidoping, il francese Gabriel Dolle, presunto regista «scientifico» della copertura.
Le condizioni chieste dalla Wada per il riaccredito dell’atletica russa sono cinque. Azzerare i vertici federali, ripulire l’agenzia antidoping Rusada, il laboratorio federale di Mosca e l’Istituto Statale dello Sport, accettare in ogni organismo l’inserimento di osservatori internazionali esterni per garantire il ripristino della legalità e della credibilità.
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Va detto subito che nessuno può cantare vittoria, di fronte al rapporto dell’Agenzia Mondiale per l’antidoping, che ha certificato una diffusa e ramificata truffa sportiva, i successi dopati che umiliano discipline antiche e nobili come l’atletica, i pesi, la lotta, il nuoto, il ciclismo e via continuando. Chi più, chi meno, ci siamo tutti nella lista della vergogna: 115 Paesi in 89 sport nel solo 2013. E se la Russia è largamente in testa, non sono da meno la Turchia, la Francia, l’India, il Belgio, seguito a ruota dall’Italia, un sesto posto (83 violazioni) che non ci fa per nulla onore (Paolo Valentino)