Sportweek, 7 novembre 2015
Intervista ad Alessia Zecchini che riesce a trattenere il respiro per 7 minuti, nuotare in piscina sotto la superficie per 190 metri e arrivare a oltre 1.000 metri di profondità
Basta il racconto di un’esperienza così e viene subito da dire: voglio darmi anch’io all’apnea. E fa niente se non riesco a trattenere il fiato per quasi 7 minuti e ad arrivare a 103 metri di profondità come fa lei, che ha 6 litri di capacità polmonare. Perché le immagini di quell’immersione vissuta da Alessia Zecchini a Sharm el-Sheikh accendono la voglia di fantasticare e il desiderio di perseguire la libertà assoluta: «Intanto immaginatevi che cosa possono essere il fondale e la barriera corallina, una meraviglia. Quel giorno poi, come sempre, non avevo le bombole, infatti i pesci mi si avvicinavano senza problemi. Erano grandi più delle orate, per capire, striati di giallo, una trentina in tutto circa. Mi circondavano e poi si allontanavano un po’, tornavano attorno a me e poi di nuovo lontani. Quando li avevo tutti lì, mi sentivo quasi uno di loro, una situazione talmente unica da sembrarmi surreale». Romana, 23 anni e una laurea in Scienze motorie, dopo aver vinto un mese fa, a Ischia, l’oro mondiale in assetto costante (-93 metri), Alessia si gode il trionfo. Si divide tra le lezioni del master universitario, gli amati roller («Usarli in città, a Roma, è forse più pericoloso che scendere fino a 100 metri; in fondo lì in 3 o 4 minuti si fa tutto...») e l’altro amore della sua vita: la Roma. Il cui simbolo è finito persino sulla sua preziosa monopinna. «E chissà che prima o poi non decida di gareggiare infilandomi la maglia giallorossa sotto la muta...».
Va anche allo stadio?
«Certo. E magari in questa stagione inizierò a fare delle trasferte. L’anno scorso l’ho seguita poco, avendo il fidanzato a Napoli non è che potessi andarci tutte le domeniche, se no lui mi avrebbe lasciata...».
E quest’anno come si fa?
«Ci siamo lasciati».
Da dove inizia la “discesa” nella sua vita da apneista?
«Dai miei 10 anni, dal primo corso di nuoto. Carino, sì, ma dopo un po’ fare 50 metri a stile non m’interessava più, io volevo stare sotto. È che non si poteva, per fare i corsi servivano 18 anni, così mi toccava aspettare l’estate».
Da ragazzina e oggi, a che cosa si pensa laggiù in fondo?
«Nessun pensiero particolare, resto concentrata su quello che sto facendo, sull’obiettivo del piattello (il punto terminale della discesa, posto il giorno prima della gara a una profondità definita; ndr) e soprattutto sulla compensazione. Se sbagli quella, e se a un certo punto inizi a inghiottire l’aria che hai dentro la bocca, a 50 metri è meglio se ti fermi, perché più giù non ci arrivi di sicuro».
Come spiegherebbe a un bambino il mondo dell’apnea?
«Si divide tra mare e piscina, specialità che io pratico entrambe. Nell’indoor lo scopo è fare più metri possibile o trattenere il fiato più a lungo, al mare invece si punta a scendere il più possibile con la monopinna, tipo delfini, oppure senza attrezzi e nuotando a rana. Il cavo ti serve solo da guida, non ti ci puoi attaccare».
Allenamenti. La settimana tipo?
«Tutti i pomeriggi, almeno un paio d’ore al giorno dal lunedì al sabato. Durante la preparazione faccio il 40% di allenamenti a secco e il resto in acqua, dove invece arrivo al cento per cento quando sono nel periodo delle gare».
Respirazione e concentrazione come si allenano?
«Alcuni preferiscono puntare sullo yoga, per esempio. Io mi trovo meglio con gli esercizi specifici per la respirazione. Quanto alla “testa”, sono andata qualche volta da uno psicologo dello sport per migliorare la mia capacità di concentrazione».
Ma incontri pericolosi, negli abissi, ne ha mai avuti?
«Uno squalo, in Turchia. Ma era morto... non si muoveva. In generale gli squali sono una specie di cui non ho paura, eccezion fatta per lo squalo bianco. Diciamo però che, potendo, non andrò mai in Australia a fare delle immersioni. In rete, video di attacchi alle persone, da là, ne arrivano un po’ troppi...».
Lei quanto tempo riesce a stare senza il mare?
«Poco. Il posto del litorale più vicino a casa mia è Fiumicino. Quando sento la mancanza, prendo la Vespa e vado là, anche solo per vederlo, non ho bisogno neanche di bagnarmi i piedi per rigenerarmi».
E quando è a 70, 80, 100 metri sott’acqua, come si rigenera?
«Intanto non ho paura. Non la provavo all’inizio e non ne ho oggi, anche se mi dicevano che crescendo, acquisendo maggiore consapevolezza, il mio approccio sarebbe potuto cambiare. E poi mi rigenero... guardando Nemo! Nel senso: non il film, ma la realtà di certi fondali, che è assolutamente uguale a quella della fantasia. Uno spettacolo».
Roba da non tornare più su?
«Intanto laggiù, ma in fondo in fondo, ti prende anche un po’ di narcosi, quindi – come dire? – c’è una sensazione di estasi. E poi sì, qualche volta a me è successo di volerci rimanere, di restare in un mondo sommerso lontano da quello “terreno”. Trattandosi di profondità importanti, meglio restare vicina al piattello per 10/15 secondi, non di più se no sarebbe pericoloso. Ecco, quello è il momento più bello dell’apnea».
Lei che lo vive per davvero da almeno sette anni, come sta di salute il mare?
«Ogni estate che passa, penso soprattutto alla Grecia, noto che le spiagge si stanno riducendo in modo disastroso. La differenza è visibile, poi l’acqua è più calda, in Sardegna i pesci praticamente non esistono più se non nelle riserve. Sette anni fa, quando iniziai io, era diverso: le spiagge erano enormi. Anche a Sharm la gente del posto mi racconta come la situazione sia peggiorata, persino la fauna della barriera corallina sta cambiando».
Libri e film la aiutano a coltivare la sua passione per il mare?
«Di film “acquatici” ne ho visti tanti, dallo Squalo in poi. Libri pochi, e comunque non i romanzi, preferisco le biografie, decisamente più verosimili. Ho letto quelle dei grandi apneisti, come Jacques Mayol e Umberto Pelizzari».
Ma dagli abissi torna anche con qualche preda?
«Certo. In Puglia, l’anno scorso, ho preso una serra di tre chili abbondanti. Marinatura e grigliata, però, le ho lasciate fare agli amici».
Senta, vista la sua predisposizione, da piccola con i suoi smetteva di respirare, fino a diventare paonazza, finché non le compravano il gioco che voleva?
«No! All’epoca proprio non ci pensavo, magari sarebbe servito a qualcosa...».
Può farlo col prossimo fidanzato.
«Sì, e se lui mi dice: è una minaccia o è una promessa?...».