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 2015  novembre 09 Lunedì calendario

A casa di René Redzepi, lo chef danese numero tre al mondo, cucina la moglie

Il giro di casa Redzepi, a Copenaghen, inizia dalla cucina. Novanta metri quadrati di nordica efficienza rivestita in legno di quercia. «Per me cucinare è una questione di trasparenza e onestà. Ha qualcosa di vero e originale, senza troppi capricci». Di pretese, invece, René Redzepi ne ha parecchie visto che a soli 37 anni è lo chef più quotato a livello globale – e forse il più chiacchierato – per i suoi menu sperimentali a base di muschi, licheni, funghi al cioccolato e grilli fermentati. E in quanto ‘re’ gli si riconosce un merito, quello di aver disegnato la mappa della nuova gastronomia scandinava, e anche un regno: il Noma, votato per quattro volte il miglior ristorante al mondo. Si trova a pochi passi dal cottage del 17° secolo che i Redzepi hanno acquistato nel 2013. «La posizione è ideale», dice lo stellato. «Mi permette di passare la mattina a casa e di tornare al volo per mettere a letto le bambine». La zona è tranquilla. Christianshavn è uno storico quartiere alberato, lungo il canale, ostinatamente bohémien nonostante la recente gentrificazione. Una città dentro la città, sede di superbi ristoranti (appunto) e istituzioni culturali come l’Accademia Reale di Belle Arti e la Scuola di cinema danese. Con i vicini Redzepi condivide questa atmosfera raffinata, un po’ hippie, e una fetta di giardino verde e rosa che fa capolino dalle finestre della cucina-soggiorno. Il fulcro della casa è un grande spazio su misura, razionale per contenimenti e funzionalità. Le apparecchiature sono tutte nascoste: dalla lavastoviglie al frigorifero, messo in dispensa. A vista rimane solo il camino in muratura provvisto di barbecue. Non c’è microonde. «Non saprei cosa farne», ammette Redzepi. Anche perché ai fornelli di solito ci sta la moglie, la trentenne Nadine Levy Redzepi, che dopo l’ultima maternità ha iniziato a scrivere libri di ricette usando la cucina come laboratorio. Il fascino non manca: soffitti bassi, travi in legno, infissi grigi e color mela. «Ma la luce naturale scarseggia come capita nelle vecchie abitazioni nordiche, motivo per cui a soffitto abbiamo messo più di 30 luci a LED, spesso accese in pieno giorno». Sono un déjà-vu per Redzepi, che prima di trasferirsi in Danimarca ha vissuto con la famiglia in piccole stanze della Jugoslavia (il padre è macedone) e poi in mini appartamenti spagnoli e francesi durante l’apprendistato a El Bulli e al Jardin des Sens. Anche l’ultimo quadrilocale preso in affitto non era un granché. «L’ho odiato», sorride. «Non mi sentivo a mio agio». La sua casa è questa: l’ex bottega di fabbro di duecento metri quadrati, cinque camere da letto, due bagni e un’indole accogliente. Interni minimi come ben insegna il Danish touch. «Prevale sempre quel giusto equilibrio tra estetica e praticità. Visti all’opera mentre riparavano i nodi del legno, gli artigiani sono stati encomiabili. Senza contare che i materiali naturali migliorano con l’uso. Per questo abbiamo deciso di non arredare troppo gli spazi: vogliamo prima viverli e schiarirci le idee sulle nostre reali esigenze». Sono tempi di riflessione per Redzepi: oltre al cottage c’è il Noma, che servirà la sua ultima cena a Capodanno 2016. Dopo anni di foraggiamenti e fermentazioni, dopo aver perso il primato nella classifica dei 50 migliori ristoranti al mondo (ora è al terzo posto), il maître danese sostiene di avere una nuova missione: una fattoria urbana sull’isola di Refshaleøen, a dieci minuti di bici. Apertura prevista per il 2017. Tra le due date c’è tempo di scegliere un contadino full-time da inserire nel nuovo team e aprire il Noma pop-up di Sydney. «Voglio capire come cambia la mia cucina a contatto con altre materie prime», conclude Redzepi. Quelle di casa già le conosce.