Libero, 9 novembre 2015
La carriera da attaccante, la coca, la seconda vita da ristoratore, le umiliazioni quotidiane. Intervista a Francesco Flachi
Buonasera Francesco, le segnalo che è in ritardo di un’ora e venti sull’appuntamento.
«Ha ragione, mi scusi, ma è colpa del lavoro. Ho una paninoteca e un ristorante. Lo sa a che ora ho chiuso il locale ieri sera? Glielo dico io, alle 2. Lo sa a che ora mi sono svegliato questa mattina? Glielo dico io, molto presto. Ho portato i bimbi a scuola alle 7.30...».
Lo sa a che ora riparte il treno che mi deve riportare a Milano? Glielo dico io, tra meno di due ore...
«Non perdiamo tempo allora, che poi devo andare al campo. Lo sa? Alleno una squadra in Terza Categoria».
Si siede, accende una sigaretta, appoggia pacchetto e telefono, ti guarda fisso negli occhi: «Prego...». A 40 anni Francesco Flachi è così: ritardatario, gran lavoratore, discreto fumatore, sereno, molto consapevole di quello che «è stato», di quello che «sarebbe potuto essere», soprattutto di quello che «è», ovvero il terzo miglior marcatore nella storia della Sampdoria.
«Ma se a 32 anni non mi capitava quello che mi è capitato, Vialli lo prendevo: io ne ho fatti 112, lui 126».
E Mancini? Lui è sul gradino più alto del podio con 132...
«E chi lo sa, magari prendevo anche lui...».
Francesco Flachi ha smesso di far gol perché il 28 gennaio 2007 l’ha fatta fuori dal vaso. O meglio, in una provetta. Finisce Samp-Inter, l’antidoping pretende la sua pipì e l’esito è spietato: positivo alla cocaina. Dopo 2 anni di squalifica ricomincia nel 2009 all’Empoli, poi al Brescia in B, altra pisciatina e «solito» verdetto: positivo alla cocaina. Il Palazzo questa volta si incazza sul serio e lo ferma per 12 anni.
Flachi, ne sono passati 6, a meno di miracoli avrà espiato la sua colpa nel 2021.
«Già, neanche avessi ammazzato qualcuno. Per carità, ho sbagliato alla grande, ma non fino al punto di venire trattato come un criminale».
Quando la sorteggiano la prima volta per l’esame delle urine lei sa di essere spacciato?
«Assolutamente no. Non ci penso, sono tranquillo, in fondo sono passati 4 giorni dalla sera in cui mi sono “lasciato andare”. Ero a cena con amici, festeggiavo la nascita di mio figlio...».
Possibile che fosse così «spensierato»? Mi sembra di vederla: il calciatore ricco, circondato dalle «veline», i locali...
«I locali? Mai frequentati. Le veline? Io al limite avevo “la commessa” che poi è diventata mia moglie. No, ero solo un bravo ragazzo con un brutto vizio».
Uno? Diciamo anche due o tre. Nel 1996 la accusano di detenzione e spaccio. Risulta?
«Assolutamente no. Parlo al telefono con un ragazzo che conoscevo, vuole una maglia di Totti. Lui aveva brutti giri. Pensano che parliamo in codice e che “quando mi porti la maglia” c’entri con la droga. Per fortuna riesco a chiarire tutto».
E la questione scommesse? Nel 2006 la sospendono due mesi perché avrebbe chiesto informazioni su un Roma-Lazio...
«Altro clamoroso errore. Due ragazzi, tifosi di Samp e Genoa, fanno il mio nome in una telefonata. Uno dice all’altro “chiedi a Flachi se sa qualcosa”. Io per 3 mesi ho il telefono sotto controllo e viene fuori che non c’entro niente, ma per la giustizia sportiva basta la “presunzione di colpevolezza” e mi fermano».
Fatto sta che deve interrompere la carriera e l’esordio in Nazionale resta un miraggio.
«È il mio periodo migliore, quella decisione mi stronca e per me è l’inizio della fine...».
Nel 2007 la prima squalifica per doping, nel 2009 la seconda: i 12 anni di stop se li è cercati, non crede?
«La seconda volta sono già mentalmente fuori dal calcio. Ho una discussione con mister Iachini, mi sento preso per il culo, la sera mi “lascio andare” e arriva il controllo...».
Lì finisce la sua carriera da «bomber» e inizia quella da «paninaro».
«Ho aperto una paninoteca a Firenze, l’avrei fatto a prescindere, mi piace il contatto con la gente. Gli affari vanno bene, vengono a trovarmi tanti tifosi. Con la mia famiglia abbiamo anche un ristorante».
Già, i suoi. Si sono sentiti traditi?
«Le racconto una cosa. Qualche mese fa la mamma di un famoso tifoso della Fiorentina morto 17 anni fa, “Tucano”, mi dice “Francesco, tu hai sbagliato, ma sei qui e puoi rimediare. Lui invece non c’è più...”. Poco dopo avermi detto queste cose è venuta a mancare anche lei, le sue parole mi hanno segnato. Ho fatto e sto facendo di tutto per non deludere i miei cari».
Che rapporto ha con suo padre?
«Papà mi vuole bene, così tanto che a un certo punto ha deciso “d’ufficio” di gestire i miei risparmi. Sa com’è, sono un generoso per natura e stavo sperperando tutto...».
Ha guadagnato molto in carriera?
«Così a spanne direi 7-8 milioni».
Non mi dica che li ha spesi tutti con gli amici...
«Gli amici... Un tempo erano tanti, io ero più “leggero” e legavo con tutti. Dopo la faccenda doping molti mi hanno tradito, si sono dileguati. Ne sono rimasti pochi ma veri, mi hanno aiutato nei momenti più duri».
Esempio di “momento duro”?
«A volte in strada mi fanno le “battute”, ma non mi interessa. Attaccano me perché sono finito sui giornali e chiudono gli occhi su quello che accade in casa loro».
La cocaina migliora la prestazione sportiva?
«No, neanche se la prendi il giorno prima».
Ma ne gira tanta negli spogliatoi?
«Assolutamente no. La droga non è un problema del calcio, è un problema dei singoli».
Oltre ad allenare ha anche una scuola calcio vero?
«Sì, con 140 bambini iscritti».
I genitori non pensano che lei possa essere un cattivo esempio?
«Per niente, mi conoscono come persona e sanno quanto valgo».
E in panchina com’è? Severo come Novellino o pacato alla Ranieri, per citare due dei suoi mister?
«Ma quale panchina? La squalifica mi impedisce persino di prendere il patentino. Do ordini e sbraito da dietro la rete. Ma c’è di peggio...».
Le impediscono di palleggiare?
«Quasi. Mio figlio vorrebbe andare allo stadio, ma io non posso accompagnarlo. Se vado a comprare i biglietti e dico il mio nome, risulto in una “black list”, una sorta di Daspo. Mi trattano come se fossi un malato. Più di una volta sono stato allontanato, per esempio in occasione dell’ultimo Samp-Lazio: è umiliante. Riesco a vedere le partite solo se entro di nascosto: faccio comprare i biglietti ai miei amici, vado in gradinata, mi incappuccio per non farmi riconoscere. A volte incontro vecchi amici, dirigenti: vorrei salutarli ma cambio strada per non metterli in difficoltà. L’ultima partita che ho visto è stata Samp-Juve. Ripeto: non ho ucciso nessuno».
La Sampdoria ha provato a darle una mano?
«Sì, ma non è semplice. Le faccio un esempio: da anni vorrei organizzare la mia partita di addio, un evento a scopo benefico con i ragazzi che per 8 anni hanno sofferto e gioito con me e con tutti i tifosi della Samp con cui ho un rapporto fraterno. Ogni volta sembra quella buona, ma poi servono i permessi della questura e si blocca tutto. L’anno scorso si sono mobilitati Ferrero e Sinisa (Mihajlovic ndr) ma niente, non ci siamo riusciti...».
Che tipo è Ferrero?
«Una brava persona. E competente anche. Prima di prendere Zenga – che per me è bravissimo – ha sondato Sousa e Sarri. Evidentemente ci capisce».
... E ci capiva anche sua nonna. È vero che da bambino le dava 5mila lire a gol?
«Sì, e mi puliva anche le scarpe, le rendeva lucidissime. Purtroppo per lei in quegli anni segnavo 5 gol a partita, tutto merito della mia palestra, “la strada”».
Nel senso che le sue origini sono umili?
«No, nel senso che giocavo in strada, sull’asfalto. Oggi i bambini non lo fanno più, preferiscono i videogiochi e i risultati si vedono. Sa chi mi ha scoperto? Il mio vicino di roulotte in campeggio a Torre del Lago. Passavo il giorno a giocare e palleggiare, mi ha visto e mi ha tesserato per l’Isolotto».
Il calcio è peggiorato?
«Molto, se giocassi oggi farei molti più gol. Tecnicamente c’è un abisso».
C’è un Flachi oggi?
«Speriamo di no (ride ndr)! Devo dire che Eder mi piace molto, Cassano invece è l’ultimo genio del calcio».
In passato ha rifiutato qualche offerta importante?
«A 12 anni mi contatta Moggi per andare al Napoli, ma sono troppo piccolo per lasciare casa. Da “grande” il Bayern Monaco e il Milan nel 2007. Per un attimo tentenno ma poi vince l’amore per la Samp».
Il difensore più forte?
«Senza dubbio Nesta: con lui dovevi prendere il Moment. Quando giocavo contro il Milan provavo a stargli alla larga, ma mi toccava fare i conti con Stam, Maldini, Cafù...».
Dicono che suo figlio le somigli...
«Mi auguro solo in campo...».
Come titolerebbe questa intervista?
«E che ne so? Questo è il suo lavoro. So che probabilmente nel titolo comparirà la parola “cocaina”, fa parte del gioco. Da parte mia mi piacerebbe che qualcuno si accorgesse di me, nessuno si dà da fare perché conto poco, ma vorrei che la gente capisse che non sono “il male del calcio”, che ho sbagliato ma in fondo ho danneggiato solo me stesso. Dopo sei anni forse posso essere perdonato».
Se potesse realizzare un desiderio?
«Vorrei allenare per davvero, sedermi in panchina. Magari iniziando di fianco al mio “maestro” Novellino...».
Neanche troppo per uno che ha fatto tremare Vialli e Mancini...
«Sì, vabbè, ho fatto tremare Vialli e Mancini ma quello è il passato. Il presente è altro: l’allenamento con i miei ragazzi, poi il locale. Anzi, mi lasci andare che faccio tardi un’altra volta...».