Libero, 9 novembre 2015
«Tra 10 anni il mio piccolo robot sarà capace di innaffiare le piante, dare da mangiare al gatto e aiutare gli anziani». Intervista all’ingegnere robotico Giorgio Metta, "papà" di iCub
Un robot come amico. Quante volte l’abbiamo sognato? Una macchina umanoide – testa, busto, mani, piedi e quattro sensi (gli manca l’olfatto) – capace di pensare, che giochi con noi come un ragazzino, che ci faccia compagnia come un fratello, che ci aiuti in casa come una colf e che ci assista come una badante. L’abbiamo immaginato per anni chiudendo gli occhi, leggendo Isaac Asimov e guardando film e serie tv di fantascienza, ma ora – oplà – eccolo qui. È realtà. Si chiama iCub, è il robot bambino più completo del mondo e sta crescendo, perfezionandosi, nell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova (il centro di ricerca i cui laboratori sono nati nel 2006 e dove attualmente lavorano oltre 800 persone: in Italia ci sono altre dieci sedi) con l’obiettivo di entrare nelle nostre case e nella nostra vita entro dieci anni. Merito dell’ingegnere robotico Giorgio Metta, che di iCub è l’ideatore, il progettatore, il realizzatore. Il papà.
Un pc sulla scrivania, un portatile sul tavolino, lo smartphone in mano, l’iPod in tasca e il palmare là sulla poltrona: Giorgio Metta, ma un’agendina tradizionale in carta o un quaderno proprio no, vero?
«La carta l’ho abolita. Non uso più nemmeno la stampante: faccio tutto al pc».
Mac o Windows?
«Il Mac è bello, ma alcuni software tecnici non girano. Meglio Windows in questo caso. Il computer lo utilizzo a sfinimento e mi dura al massimo due anni: quando finisce la memoria, lo cambio».
Anche a casa sua è tutto supertecnologico? Siete una famiglia proiettata nel futuro?
«Mio figlio Fabrizio ha 11 anni, è appassionato di videogiochi e smanetta con qualsiasi cosa: ha voglia di capire, conoscere, programmare. Non solo di utilizzare passivamente».
Cosa che invece facciamo tutti. Guardi questo iPhone, chissà quante potenzialità non vengono usate.
«Vero. Dieci anni fa però lei non immaginava nemmeno di poterlo avere uno strumento così. Che di fatto è un piccolo robot, ma non si muove. Io le dico che tra dieci anni – almeno questa è la mia idea – lo smartphone si trasformerà e potrà eseguire delle azioni».
Tipo? Facciamo degli esempi.
«Innaffiare le piante, dare da mangiare al gatto, trovare oggetti, aiutare gli anziani».
Stiamo parlando del suo iCub?
«C’è da lavorarci, ma l’obiettivo è questo».
Dall’iPhone all’iCub: da Steve Jobs a Giorgio Metta. Il paragone la rende orgoglioso o la infastidisce?
«Non può che piacermi: Jobs ha avuto grandi idee».
Ma anche un carattere difficile. A proposito, si dice che gli scienziati siano sbadati. Perché ride?
«Capita di pensare troppo spesso a progetti o problemi da risolvere. E inevitabilmente si fa qualche cavolata».
La sua ultima?
«Presentarmi qui in sede con i jeans strappati e scoprire che c’era in programma una visita ufficiale. Che avevo ovviamente scordato distratto dai miei pensieri sul futuro».
Già, noi invece facciamo il contrario e torniamo al passato. Al piccolo Giorgio Metta.
«Nasco a Cagliari il 14 gennaio 1970 e il mio gioco preferito è il Lego».
Tanto per costruire subito... Il primo pc?
«A 10 anni. Mi appassiono ai videogiochi e a 12 ne programmo uno tutto mio: lo sci».
Scuole?
«Istituto Tecnico industriale elettronico e invento subito, su commissione del prof, un modo per non rendere copiabili i software contenuti nelle audiocassette e nei floppy disk».
Quando il contatto con la fantascienza?
«Immediatamente. Da bambino guardo i cartoni animati giapponesi e mi innamoro di Ufo Robot, poi crescendo leggo Asimov».
Scusi, si fermi. Quindi Goldrake potrebbe averle ispirato, inconsciamente, iCub?
«Perché no? Mi piaceva molto».
Intrigante. Andiamo avanti: nel 1994 lei si laurea in Ingegneria all’Università di Genova e nel 2000 consegue il Dottorato in Ingegneria elettronica.
«La tesi di laurea è la prima grande emozione: un robot in grado di rispondere agli stimoli esterni. Da brividi. Poi vado a Boston per lavorare al Massachussets Institute of Technology: i due anni più belli della mia vita».
Perché?
«Per l’ambiente, le occasioni, gli incontri».
Il personaggio più incredibile?
«Il matematico Stephen Smale, uno dei geni di questo secolo capace di farti capire con semplicità anche le cose più difficili».
Metta, ma quando nasce l’idea di iCub?
«Proprio a Boston. Un giorno sono al telefono con Giulio Sandini, mio capo di allora, e discutiamo del progetto di fare un robot. Io, d’istinto, dico: facciamolo piccolo!».
Come mai?
«Più maneggevole, più comodo da usare».
Nel 2004 parte ufficialmente il progetto.
«Torno in Italia e otteniamo il finanziamento della comunità europea di 8.5 milioni di euro. Si parte: tre anni e mezzo di progettazione, poi la realizzazione».
Già, iCub. Raccontiamolo partendo dal nome: come nasce?
«La “i” viene da “I, robot” (“Io, robot”), la raccolta di racconti di fantascienza scritta da Asimov; “cub” deriva dal cucciolo (man-cub) descritto da Rudyard Kipling nel suo “Libro della giungla”».
Come è fatto iCub?
«Venga che glielo presento direttamente. Eccolo, gli dia pure la mano».
Polpastrelli morbidi.
«È la pelle che ricopre arti e torso e a oggi è costituita da 4 mila sensori di tipo capacitivo simili a quelli dei touch screen di smartphone e tablet. Con la differenza che non reagisce solo al contatto con le dita, ma a quello con qualsiasi oggetto».
Ma così è già in piedi? Urca, è piccolissimo!
«È alto 1.04 m e pesa tra i 25 e i 28 kg. È pensato come un bambino di 5 anni. Ha mani di metallo, muscoli ad azionamento elettrico, due telecamere per occhi, due microfoni per orecchie, uno speaker al posto della bocca. Inoltre, grazie ad alcune luci, comunica attraverso le espressioni del volto».
Quante persone lavorano su di lui?
«Qui siamo in 70. Metà sono ingegneri e si occupano della parte meccanica, gli altri sono ricercatori che lavorano al software per migliorare il cervello, che è in silicio, è suddiviso in moduli ed è costituito da 6 potenti computer a 4 o 8 processori. La grande sfida è proprio quella dell’intelligenza artificiale».
Cosa è in grado di fare oggi?
«Ha imparato a gattonare nel 2010, sa tenersi in equilibrio e cammina, anche se lentamente: non sbatte contro nulla grazie all’uso combinato dei dati sensoriali forniti dalle telecamere e dalla pelle artificiale. Poi è in grado di parlare, vedere, riconoscere e afferrare oggetti e...».
Scusi, ma cosa intende per parlare?
«Dà risposte programmate alle domande».
Tipo Siri dell’iPhone?
«Proprio così. L’aspetto più interessante poi è che sa imparare dagli errori: la prima volta che afferra qualcosa può sbagliare, ma poi si corregge e impara anche a dosare la forza».
Metta, quanto costa attualmente iCub?
«Duecentocinquantamila euro. Ne abbiamo costruiti 30 esemplari: quattro sono qui a Genova, uno in Giappone, uno negli Usa e gli altri in Europa. Il nostro progetto prevede che ogni gruppo di ricerca che partecipa all’iniziativa lo possa modificare, purché condivida i risultati».
Per pensare che diventi a portata di famiglia, ovviamente, il prezzo dovrà scendere.
«Vero. Ecco perché abbiamo fatto partire un nuovo progetto per un robot a basso costo con materiali di plastica anziché alluminio, con un display al posto della testa e con delle ruote. In questo modo si potrà arrivare a 15 mila euro, il costo di un’utilitaria».
Si chiamerà ancora così?
«No, ma non abbiamo deciso ancora il nome. Sarà più alto di iCub, ma della stessa famiglia. Un po’ come iPhone e iPad».
Quando sarà pronto?
«Ad aprile avremo la demo. Poi svilupperemo il software e nel giro di 10 anni andrà sul mercato, mentre iCub continuerà a servire per la ricerca».
Oltre ad aiutarci in casa con una serie di app che gli permetteranno di compiere azioni, cosa potrà fare il nuovo robot?
«Potrà essere utile nei luoghi pubblici. Lo immagino in grandi magazzini o negli ospedali a servizio della gente».
Nel frattempo iCub si sta facendo conoscere: lo state pubblicizzando molto.
«Ha girato lo spot della Tim con Pif, va spesso in tv e ha conosciuto molti personaggi della politica tra cui Napolitano e Renzi».
L’incontro più buffo?
«Con la Merkel: la cancelliera ha stretto così tanto la mano del robot che quasi gliel’ha rotta».
Ultime domande flash. 1) I suoi parenti come hanno accolto iCub? Perché ride?
«Mio nonno ultranovantenne, poco prima di morire, è stato portato qui a Genova a vederlo. Andandosene, si è voltato verso di me: “Giorgio, quando la smetti di giocare e ti trovi un lavoro serio?”. Mio figlio invece l’ha conosciuto quando aveva 3 anni. E ha esclamato con delusione: “Papà, ma è finto!!!"».
2) Tra i tanti film sulla robotica quale è il suo preferito?
«Blade Runner».
3) Un’invenzione che avrebbe voluto realizzare lei?
«L’iPhone, design e funzionalità insieme».
4) Un personaggio che avrebbe voluto conoscere?
«Il fisico Richard Phillips Feynman».
5) Musica preferita?
«Pink Floyd».
6) Rapporto con la religione?
«Sono ateo».
7) Paura della morte?
«Cerco di pensarci poco».
8) Bisogna avere paura dell’intelligenza artificiale?
«No, non credo si arriverà mai alla ribellione».
9) Un periodo storico in cui le sarebbe piaciuto vivere?
«Il futuro».
Buona questa. Allora ci provi: come sarà il mondo tra 100 anni?
«Molto meccanico, tutti gli oggetti saranno realizzati dall’intelligenza artificiale: gli uomini lavoreranno molto poco e si godranno la vita».