28 febbraio 2015
Tutte le bugie di Massimo Bossetti
• Si viene a sapere che quel pomeriggio di novembre di cinque anni fa, Bossetti non andò a lavorare e non incontrò nessuno a Brembate, non il commercialista, non il fratello, non l’amico con cui dice di essere andato a bere una birra. Gli uomini del Ros hanno fatto un lavoro di ricostruzione preciso, ascoltando centinaia di testimoni, verificando ogni dettaglio, anche ogni accusa di Bossetti che prima ha adombrato «una vendetta» verso il padre di Yara Gambirasio, poi ha cercato di gettare la colpa su un collega di lavoro: «…Quindi ipotizzo di aver perso un guanto o uno straccio sporco di sangue e qualcuno è andato a depositarla su… su questa bambina qua». Un’idea? «Sì, il Massimo Maggioni che mi aveva prestato uno straccio rosa scuro una volta che mi ero ferito una mano… lui provava invidia per la mia bellissima famiglia… Io non voglio accusare nessuno, però l’ho visto come fa… un cane che sbava». Ma il Maggioni nei giorni in cui scomparve Yara era ricoverato in ospedale. Colonnello su Sta: «Al di là delle menzogne quasi infantili del carpentiere di Mapello, al di là delle visite sui siti porno alla ricerca di “tredicenni senza pelo”, parlano i fatti che si riassumono in tre elementi schiaccianti: il Dna ritrovato sui leggings e le mutandine di Yara incontrovertibilmente di Bossetti; le immagini del suo furgone, il camionato Iveco, che passa avanti e indietro per tre quarti d’ora davanti alla palestra di Brembate e alla casa della ragazzina la sera della sua scomparsa; i frammenti di tessuto del plaid usato per rivestire i sedili dell’abitacolo del camioncino, (giallo, rosso e verde) trovato sempre sui leggings di Yara. Più la testimonianza di un uomo che lo riconosce quella sera vicino alla palestra e di una donna che è sicura di averlo visto appena tre mesi prima, settembre 2010, incontrarsi con Yara e farla salire sulla sua Volvo grigia station wagon nel parcheggio del cimitero di Brembate, guarda caso, proprio attiguo alla palestra: “Me ne sono ricordata perché lui aveva gli occhi incredibilmente azzurri, di ghiaccio”».
• La principale prova contro Bossetti resta il Dna, che i suoi avvocati difensori definiscono «solo un indizio». Ma colpisce che proprio Bossetti sia stato categorico con la madre Ester Arzuffi sul valore del Dna. Quando lei, in un colloquio in carcere dell’8 novembre, gli dice «tuo padre è Giovanni Bossetti, non l’autista di Gorno» lui le risponde: «La scienza non sbaglia. Lì non puoi smentire. Perché tutti i miei 21 cromosomi corrispondono ai 21 cromosomi del Dna di Guerinoni? Lì è al cento per cento, non puoi sbagliare»
• «Quello che mi frega è il Dna sul cadavere» (Bossetti alla moglie, durante un colloquio in carcere)