il Fatto Quotidiano, 8 novembre 2015
A Kabul se ne è andata anche la musica. Ripresa e caduta di una città ormai presa d’assalto da una folla tumultuosa di disperati che sperano di abbandonare il Paese in cerca di fortuna
Dopo la decisione di intervenire nel conflitto siriano militarmente, il governo russo ha fatto sapere che è pronto ad accogliere una eventuale richiesta di aiuto militare da parte dell’Afghanistan, soprattutto se lo scopo fosse mirato al contrasto dell’Isis. L’ambasciatore russo Aleksander Mantytskiy, parlando alla Tolo TV, ha sottolineato che Kabul deve precisare le ragioni di una eventuale richiesta e ha aggiunto che Mosca è anche disposta a cooperare per lo sviluppo economico afghano. Mantytskiy non ha mancato di osservare che dopo 14 anni di combattimenti e di presenza della Coalizione internazionale e della Nato, il Paese non è ancora sicuro. Affermazioni che sanno di provocazione, ma tutt’altro che destituite di fondamento. Lo stesso New York Times, ha rilevato con un reportage da Kabul di Alissa J. Rubinnov come la capitale afghana sia diventata una città-fantasma: negozi chiusi, ristoranti praticamente inesistenti, poche tracce di vita sociale, cinematografi e teatri sbarrati, elicotteri che ogni giorno portano al lavoro i dipendenti delle ambasciate e degli uffici della Coalizione internazionale.
Serve l’elicottero persino per raggiungere il centro di Kabul dall’aeroporto. Dopo 14 anni di guerra e di addestramento dei soldati e degli agenti di polizia afghani, è ritenuto ancora troppo pericoloso percorrere in auto i due chilometri che separano l’aeroporto dall’ambasciata degli Stati Uniti. Fino a un anno e mezzo fa le strade di Kabul brulicavano di vita, ma da un anno a questa parte la situazione è precipitata. Gestori di bar e ristoranti hanno chiuso i battenti, le agenzie di stampa hanno fatto i bagagli e i pochissimi alberghi di tipo occidentale sono praticamente vuoti.
Dal 2009 in poi – grazie all’enorme quantità di denaro americano – Kabul aveva conosciuto un boom senza precedenti che aveva trasformato la capitale afghana nel paradiso dei single che non avevano difficoltà a trovare compagnia nei numerosi bar, ristorantini e locali che spuntavano come funghi in ogni angolo della città. La destinazione Afghanistan era tra le più gettonate dai dipendenti delle ambasciate e delle organizzazioni che fanno capo alla Coalizione. L’anno scorso proprio uno di questi ristoranti, la Taverna du Liban, fu bersaglio di un attentato terroristico che lasciò sul terreno 21 morti di cui 13 stranieri. Oggi a Kabul trovare un negozio aperto è un’impresa. Se n’è andata anche la musica. L’ultimo concerto organizzato lo scorso dicembre dall’Istituto culturale francese è stato interrotto da un attentatore suicida. Tra i numerosi feriti anche il direttore dell’Istituto afghano per la musica, Ahmad Sarmast, che nell’attentato ha perso l’udito.
Negli anni della ripresa il ritrovo più “in” di Kabul era il Design Cafe: quadri d’autore alle pareti, morbidi cuscini sparsi nel cortile interno tappezzato dalle piante rampicanti, musica dal vivo. Oggi il cancello di ferro è chiuso a doppia mandata e le finestre in metallo lavorato sono sbarrate. Alla periferia di Kabul una ex stazione di polizia funge da ministero dell’Interno. Era un sonnolento avamposto dove si recavano gli stranieri per segnalare il loro arrivo in città.
Oggi è presa d’assalto notte e giorno da una folla tumultuosa di disperati che aspirano a ottenere un passaporto per abbandonare il Paese in cerca di fortuna. “Tutta questa gente che chiede il passaporto è il sintomo tangibile del peggioramento delle cose”, commenta Hasina Safi, direttrice esecutiva della organizzazione no profit Afghan Women’s Network. “I miei parenti che vivono in Occidente mi sollecitano continuamente a raggiungerli. Ma che ne sarebbe dell’Afghanistan se tutte le persone istruite se ne andassero? Il Paese ha bisogno di tutti quelli che possono dare un contributo e io ho deciso di rimanere nella mia terra”. Ieri, dopo tre giorni di battaglia le forze di sicurezza afghane hanno ucciso almeno 50 militanti dell’Isis per riprendere il capoluogo del distretto di Achin.