il Fatto Quotidiano, 8 novembre 2015
Sgarbi, Grillo, Fallaci... tutti a confessarsi da Fini: «Perché a me sono sempre interessate le persone, poco la politica»
Pubblichiamo un estratto dell’intervista tra Marco Travaglio e Massimo Fini, a margine della consegna del Premio Montanelli.
Massimo, una volta hai scritto che la teoria del complotto fascista sulla morte di Pasolini sarebbe stata inventata dalla Fallaci mentre si faceva i capelli dal parrucchiere.
È la verità, la Fallaci campò in aria questa teoria mentre sfogliava le riviste, si sapeva che aveva raccolto qualche indiscrezione in tal senso. Si inventò questa storia che poi venne presa come buona da quella parte di intellettuali italiani che non voleva ammettere che Pasolini fosse morto nel modo in cui è morto. Ogni artista ha dei lati d’ombra, ma sono proprio i lati d’ombra che permettono di essere un artista. Basta leggere la biografia di Proust: era un uomo terribile nella vita privata, ma questo non cancella la sua Alla ricerca del tempo perduto. Lo stesso vale per Pasolini, che per me andava in certi quartieri romani perchè cercava il pericolo e inconsciamente anche la morte. Però per certi intellettuali non stava bene che Pasolini fosse morto in quel modo. Chiunque abbia frequentato un po’ Pasolini, sa che non si andrebbe in giro in Alfa Romeo in quartieri come il Pigneto, se non per cercare il pericolo, o la morte.
Parlami della tua amicizia con Vittorio Sgarbi. Avete litigato molto.
Sgarbi lo assolvo, perché è un bambino, che non dovrebbe avere incarichi di responsabilità (ride, ndr). Ricordo che sua madre, Rina, che credo che sia morta in questi gironi, mi telefonava quasi ogni domenica e mi diceva: “Ah ma lei vuole bene a Vittorio”. Lui in quegli anni ne diceva tante in tv e nei giornali, anche certe cose sulla magistratura, in cui faceva la stessa confusione che farei io se parlassi di Dante. Un giorno a Rina dico che sì, gli voglio bene, ma se continua a dire queste cazzate anche sulla magistratura devo starmene zitto. Detto questo, è stata un’amicizia altalenante, ma adesso abbiamo fatto pace. Più o meno, con alti e bassi. All’università sbagliano sempre… Sgarbi sarebbe stato un grandissimo docente di Storia dell’arte, perché Sgarbi ha il più bel ‘parlato’ della storia d’Italia, spiega benissimo. Non credo sia un grande critico. Lo bocciarono, e così abbiamo avuto questo Sgarbi, che è una perdita (ancora risate, ndr).
Una volta hai scritto: “Sono molti gli uomini importanti e persone qualunque che si sono venute a confessare sul mio sgualcito divano rosso”.
Forse è vero, sì, perché ho una grande capacità di ascolto. A me sono sempre interessate le persone, poco la politica. È successo che molti si siano confessati con me mentre erano in difficoltà.
Sempre quando erano in disgrazia?
Beh, sì, se no non ne avevano bisogno (ride, ndr). La capacità di ascolto è una cosa naturale ma anche una delle doti che dovrebbe avere il giornalista. Un grande giornalista come Nino Nutrizio, direttore de La Notte, diceva che il nostro mestiere si fa prima coi piedi e poi con la testa: cioè prima andando in giro, vedere, cercare, ascoltare, e solo dopo dando un senso al materiale raccolto. La curiosità è la prima dote, anzi la condizione fondamentale per fare il giornalista.
Hai detto anche: “Grillo mi chiedeva qualche consiglio, credo di essere stato io dirgli di spaccare il computer sul palcoscenico”.
Beppe è qui in sala e potrà confermarlo. Lui aveva letto il mio libro La ragione aveva torto?. Nei primissimi spettacoli in cui passava da comico a politico qualche consiglio maldestro gliel’ho dato, uno era questo. Poi lui ha fatto tutt’altra strada: altro che spaccare il computer, ha usato il web. Il libro non l’aveva letto lui, ma glielo segnalò sua moglie… (risate, ndr).
Un’altra tua frase: “Renzi rappresenta l’italiano tipo, che durante la lotta tra fascismo e antifascismo aspettava di vedere chi avrebbe vinto per schierarsi”.
Be’, questa non è solo la storia di Renzi, ma quella d’Italia. Tutti fascisti durante il fascismo, a parte i pochi, grandi resistenti, a cui va tutto il mio rispetto; tutti antifascisti dopo.