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 2015  novembre 08 Domenica calendario

Il viaggio di Goffredo Parise 35 anni dopo. Allora il Giappone s’illuminava nell’alba di un’era. Ora sembra sbiadire assieme al lungo tramonto dell’Occidente. Allora i giapponesi erano invidiati, ora sembrano compatiti, con quei cinesi e coreani lì vicino che spingono, gli tsunami, i vulcani, i terremoti e le catastrofi nucleari

Ne son cambiate di cose dall’autunno del 1980 a quello del 2015, da quando Goffredo Parise fece il suo primo viaggio in Giappone e io il mio. Quando Parise arrivò a Tokyo, il Giappone stava per accadere. Era all’inizio di un ciclo storico propulsivo. Ora è un Paese che sembra già accaduto. O forse una promessa ancora non mantenuta. Il Giappone s’illuminava nell’alba di un’era. Ora sembra sbiadire assieme al lungo tramonto dell’Occidente. I giapponesi erano invidiati, ora sembrano compatiti, con quei cinesi e coreani lì vicino che spingono, gli tsunami, i vulcani, i terremoti e le catastrofi nucleari.
Il viaggio di Parise viene spesso criticato. Non fu preciso, dicono gli iamatologi. Ha travisato alcune cose, ammise lo stesso ambasciatore Boris Biancheri che l’ospitò e a cui il libro che raccoglie i reportage è dedicato. L’errore è invece di pretendere che uno scrittore sia un reporter. La manifestazione della realtà, giapponese o italiana che sia, è uno specchio per un racconto interiore nel quale trovare un archetipo universale. Nel suo L’eleganza è frigida Parise non ci descrive il Giappone. Ci racconta la sua passione per il Giappone. Parla di sé stesso. Ovvero dell’Uomo. Proprio come Giorgio Manganelli ne L’esperimento con l’India, o Moravia e Pasolini nei loro viaggi esotici.
A proposito della mentalità giapponese, a pagina 60 dell’edizione Adelphi, Parise scrisse: «Inutile analizzare, pasticciare, rimediare mediante l’analisi. La sublime sintesi è un regalo del caso, è l’armonia che ci deve essere». Questo libro va letto così, alla giapponese, lasciandosi assorbire dalle descrizioni del pathos delle cose, l’impermanenza delle vita e lo stupore che ci regala la Natura.
L’idea di ripercorrere il viaggio di Parise nasce da una coincidenza, perché vengo ospitato anch’io dall’ambasciatore italiano a Tokyo. All’atterraggio c’è lo stesso cielo plumbeo e la pioggerella zen descritti nel suo arrivo 35 anni fa. All’aeroporto gli inservienti fanno l’inchino all’autobus che arriva. Sullo schermo di bordo appaiono cartelli che proibiscono di fare foto, parlare al cellulare, tenere alto il volume nelle cuffie. Divieti e deferenza. Un clima caldo con colori tedeschi.
Il portiere dell’ambasciata annuncia che il tifone dovrebbe essere al suo ultimo giorno. La segretaria non è felice della pioggia. Languore e meteorologia. Tutto uguale. Mi ritrovo così, le prime notti, proprio nella famosa stanza dove Parise dormì «un sonno al tempo stesso felice e lontano, simile a quelli delle convalescenze o della salvezza». Alle otto in punto il domestico bussa ancora con il vassoio della colazione. Ecco la pioggerella: «un’acqua molto sottile spruzzava invisibile il grande prato del giardino». C’è tutto. Anche le famose carpe multicolori del laghetto, descritte da Parise, sono ancora lì, come i fantasmi dei 25 samurai Ronin che nel Seicento proprio in questo giardino attuarono un obbligatorio seppuku, suicidio rituale per ordine dello Shogun, su cui sono stati scritti più di 50 romanzi.
Parise descrive le sue passeggiate notturne nel quartiere di Mita; l’incontro con un vecchio giardiniere nell’orto botanico; il ritratto di una famiglia giapponese in auto; il traffico; la metro; i grandi magazzini; il Sumo; le acque termali dell’onsen e i bar gay. Da queste impressioni trae spunti per contemplare un modo diverso di vivere la vita. Cerca di scrutare quel che gli appare un mistero magnetico, ma freddo.
Nel 2015, appena fuori dall’ambasciata si vede un ragazzo che canta allegro in bicicletta, due fidanzati che si baciano. Ci s’è ormai assuefatti al traffico nevrotico delle metropoli. La metro è un meccanismo sempre ben oliato. I grandi magazzini sono ancora asettici, identici anche i tornei di Sumo che proprio in questi giorni iniziano la loro stagione. Vedendo quelle montagne di carne, avvinghiate dentro a un cerchio, Parise scrisse: «La concorrenza dentro la specie era il sentimento che faceva andare avanti il mondo e non l’amore».
Oggi, in un onsen tra i monasteri buddisti nelle montagne di Koyasan, ci si può trovare a chiacchierare con un giovane gay catalano che, non essendo più, per sua fortuna, il 1980, parla subito con disinvoltura del fidanzato. Ecco in un’unica esperienza tre temi di L’eleganza è frigida. Sensualità, tradizione, mistica.
Parise visitò un autore importante in quell’epoca, Ishikawa Jun. Io andrò a trovare Banana Yoshimoto nella sua casa di Daizawa. Lo scrittore vicentino si perse in sublimazioni mistiche tra i tempi di Kyoto che sono rimasti uguali, con lo stesso rispettoso flusso di turisti.
Per prepararsi al Giappone va sempre bene studiare L’elogio all’ombra di Junichir? Tanizaki, leggere i romanzi di Yasunari Kawabata oltre a un’utile Enchi Fumiko in Maschere di donna. Ma il Giappone d’oggi sarà forse quello dei libri di Haruki Murakami e di Kenzaburo Oë o non sarà piuttosto quello narrato in Radio Imagination (Neri Pozza) dell’ex rapper Seiko Ito, in cui un uomo trasmette un programma radio telepaticamente dalla cima di un albero, dov’è immobilizzato dopo lo tsunami? Oppure è quello della gioventù apatica, ma sempre estetizzante, di Banana Yoshimoto, una generazione che oggi si caracolla fighetta e dandy nel quartiere fashionista di Omotesand?? Forse, come assicura lo scrittore Roger Pulvers, l’autore di Ah, se non ci fosse il Giappone, che discute con entusiasmo nei corridoi del Foreign Correspondents’ Club, basta leggere il poeta Kenji Miyazawa, «uno dei più importanti del ’900!», per capire tutto.
Esistono droghe, persone e luoghi di cui si favoleggia. S’immagina ci possano trasformare e portare lontani da noi stessi. Porte dimensionali dell’Esotismo, terre di mistero e metamorfosi. Tanti credono ancora che l’Lsd li possa emancipare, che scoprire il Maestro giusto possa di per sé migliorare per sempre la vita o che perdersi in una cultura davvero aliena li possa ottimizzare per sempre. Così non è per il Giappone, anche se potrebbe sembrarlo.
Quello che si sente dire prima d’arrivarci è l’inevitabile alterità che vi circonda. Il mistero del vuoto che penetra il vivere quotidiano. Così come se dici “India,” ne consegue spesso la parola “paura,” se dici “Giappone” emerge la parola “alieno.” Cliché. Chi è cresciuto dopo gli anni 70 ed è diventato adulto in un mondo senza il Muro di Berlino, ri-troverà qui comportamenti già visti in dozzine di film, letti in decine di romanzi, incontrati tra i turisti nelle nostre città, il tutto sullo sfondo di un set dei cartoni animati visti da bambini. Godzilla, Goldrake, Ufo Robot, i visi giapponesi-europei di Heidi, Remy, Lady Oscar, Capitan Harlock. Come i fumetti di Hayao Myazaki, anche questo è il Giappone. Basta guardare le nuvole di Tokyo per riconoscersi in un manga o un anime, già parte della nostra cultura da decenni. Il panorama unisce l’armonia del rigore architettonico e del giardinaggio zen con i luoghi del sogno europeo e americano: strade che sembrano Wall Street, la Tokyo Tower che imita la Tour Eiffel.
È questo il luogo familiare intriso d’eleganza frigida che Goffredo Parise, scoprendo somiglianze tra i cappellacci dei monaci buddisti e il copricapo del Doge oppure tra la Baia di Tokyo e “la lastra d’oro” della laguna di Chioggia, aveva già riconosciuto, rimanendone stregato.