Il Messaggero, 9 novembre 2015
Hemingway all’attacco, D’Annunzio a centrocampo, Camus in porta. L’ideale formazione di "calciautori" immaginata da Silvano Calzini
«Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo», diceva Pasolini. Manganelli, invece, lo vedeva come l’immagine pubblica e «rudemente didattica» della lotta di classe, che sugli spalti mostrava migliaia di lavoratori salariati e stipendiati che guardavano ventidue giocatori incolti e milionari, che sul campo inseguivano un pallone. Ma che rapporto c’è tra il calcio e la letteratura? I tifosi sugli spalti assomigliano ai lettori? E gli allenatori ragionano come gli editori, quando pensano alla squadra vincente da mandare in campo? Forse il campionato di Serie A è come il Premio Strega, e il Pallone d’oro come il Premio Nobel per la letteratura?
Per avere delle risposte, basterebbe leggere il libro di Silvano Calzini, “Figurine. I grandi scrittori raccontati come campioni del pallone”, pubblicato da Ink Edizioni (pp. 147, 12 euro). Nella premessa, Calzini confessa di amare così tanto il calcio e la letteratura che spesso li confonde, e forse è proprio questa la ragione che l’ha spinto a immaginare questo libro. Come un vero tifoso, pieno di passione e quasi mai imparziale, ha scelto la sua formazione ideale seguendo i suoi gusti letterari. Un ruolo per ogni capitolo, dai portieri agli attaccanti fino ad arrivare ai “fantasisti” e ai “senza ruolo”.
LA FORMAZIONE
Tra i portieri troviamo Camus e Nabokov, e non è facile stabilire il titolare e la riserva. Camus aveva scelto quel ruolo per la sua natura solitaria, e si faceva lunghe passeggiate sulla linea di porta, «con un berretto in testa per difendersi dal sole cocente del Mediterraneo, in attesa dei tiri degli avversari». Nabokov, con il papillon che si posava dolcemente sulla sua divisa nera da portiere, soffriva di cromestesia, percependo i colori come fossero suoni, e ogni tanto andava a farfalle. A dispetto di quelle tante voci, che lo accusavano di avere una relazione con una giovanissima tifosa di nome Lolita, «nei ritiri rifuggiva le consuete partite a carte o a biliardo con i compagni per dedicarsi a interminabili sfide a scacchi con l’amatissima moglie Vera». Tra i difensori l’autore schiera Beckett, «un attendista», che non faceva altro che aspettare il novantesimo minuto sperando che durante la partita non accadesse nulla.
Freud, «l’inventore del Traumfussball, il “calcio onirico”», che studiava le debolezze e le nevrosi dei suoi avversari, e pensava che la scelta del ruolo dipendesse dai traumi infantili: «I difensori sono tutti dei repressi con il complesso di castrazione, i centrocampisti degli sfrenati onanisti e gli attaccanti mascherano dietro la spasmodica ricerca del gol il loro complesso di Edipo».
LE CARATTERISTICHE
A centrocampo vediamo Italo Calvino, che ragionava sempre con estrema lucidità e che arrivava a fine partita «con i pantaloncini immacolati, senza la minima macchia», Conan Doyle, l’inventore del «calcio deduttivo», D’Annunzio, «un grande giocatore con il limite di essere troppo innamorato di se stesso», e Kafka, che l’autore mette al di sopra degli altri per la sua intelligenza e perché «toccato dalla grazia del Dio del calcio». I tifosi lo chiamavano “K”, e spesso si portava addosso un senso di colpa per i contrasti irrisolti con il padre: «Quando appese le scarpe al chiodo chiese agli amici di bruciare le sue vecchie maglie e di essere dimenticato da tutti». In attacco vengono fuori i nomi di Hemingway, «un bomber straordinario» che aveva conquistato tutti per la sua forza e per il suo modo di giocare così essenziale: stop, dribbling e tiro. Moravia, soprannominato “er Garincha de noantri” perché era leggermente zoppo, che amava segnare con calma, mettendo a sedere il portiere con una finta, per poi raccogliere le urla e gli applausi dei tifosi, preoccupandosi sempre di quelli che potevano mostrarsi annoiati e indifferenti. Pasolini, che preferiva giocare nelle borgate romane perché lo stadio Olimpico era troppo borghese, se la prendeva con i poteri forti che decidevano sempre le sorti del campionato.
UNITÀ
Tra i fantasisti ritroviamo Arbasino, Manganelli, García Márquez, Wilde e Wodehouse, e invece calciatori come Borges, Céline, Joyce e Pessoa sono destinati a rimanere senza un ruolo. Calzini fa della letteratura e del calcio un unico “discorso amoroso”, e anche se non lo immagina nella sua formazione ideale, sembra ricordare bene le parole di un grande campione come Barthes: «Che cosa mettono gli uomini nello sport? Se stessi e il loro universo umano».