La Stampa, 9 novembre 2015
La signora Carla Marangoni, medaglia d’argento alle Olimpiadi di Amsterdam (1928) compie cent’anni
I 100 anni di Carla Marangoni non saranno solo un compleanno speciale, saranno la festa delle Olimpiadi al femminile. L’anniversario è venerdì, 13 novembre, e in tanti vogliono celebrare questa straordinaria signora, solo che lei se ne sta a casa sua e il quartiere la protegge: la privacy è fondamentale. Vive nel centro di Pavia, solitaria, indipendente, alternativa come è sempre stata, fin da quando, dodicenne, si è presa un argento ai Giochi di Amsterdam.
Prima medaglia azzurra al femminile, l’ha vinta con altre undici coetanee nella ginnastica a squadre: «le bambine di Pavia», così ribattezzate perché la più giovane aveva 11 anni e la più adulta 17. Il gruppo ha fatto la storia perché quella era la prima edizione aperta alle donne in diverse discipline. Le chiamavano «atletesse», con poco garbo e ancor meno considerazione. La prossima estate le donne a Rio si avvicineranno al 50 per cento degli atleti e devono ringraziare le pioniere e mandare dei fiori alla signora Carla che ne custodisce la memoria.
I complimenti del regime
Lei non ama parlare di quei tempi, forse perché sono anni complicati da celebrare e si portano dietro troppe ansie. Era il 1928, quel secondo posto a sorpresa divenne un successo fascista che «il Balilla» celebrava così: «12 testoline irrequiete di vivacissime maschiette, 24 gambe agilissime», la stessa Marangoni ha ricevuto i complimenti di Mussolini «e non mi hanno dato alcun orgoglio». Lo ricorda in una intervista del 2012, l’ultima che ha concesso prima di riprendersi definitivamente il suo spazio. Conquista per cui ha lottato una vita.
Tra le prime in Italia a prendere la patente, non si è mai sposata, non si è mai fatta una famiglia, tutt’ora preferisce l’autonomia e si fa giusto un po’ aiutare dalla nipote Anna che fa da filtro, o meglio da sbarramento, per chi prova ad avvicinare chi ha fatto la storia. La definizione in realtà è priva di enfasi: lei davvero ha contribuito a cambiare la percezione della donna, nello sport e nella società, solo che non gradisce fanfare. È consapevole che le competizioni oggi sono troppo diverse per qualsiasi tipo di paragone e poi è difficile guardarsi indietro e ripensare a quel podio. Le ragazze olandesi che vinsero l’oro erano per la maggioranza ebree e quattro di loro morirono nei campi di concentramento. Ricordare è anche soffrire, forse per questo la signora preferisce non guardare indietro.
La medaglia persa
Carla Marangoni ha lasciato la ginnastica qualche anno dopo quegli strani Giochi che hanno aperto la strada della parità. Era giovanissima, ma di professionismo ancora non si parlava, figuriamoci al femminile, così l’idea di restare in palestra era esclusa.
È diventata contabile convinta che i numeri le avrebbero garantito una certa libertà, ha preso la licenza nautica giusto per aggiungere un altro capitolo alla sua fantastica smania di uguaglianza, ha trovato un posto nella motorizzazione quando aveva vent’anni e l’Italia entrava in guerra al fianco della Germania. Già allora non aveva idea di che fine avesse fatto la medaglia «non me le portavo certo appresso». I trofei le hanno sempre ispirato una certa noia, sono pezzi ingombranti, spesso polverosi, e non ci si può portare dietro tutto.
Ha seguito i Giochi 2012 in tv, quelli del 2008 l’hanno lasciata perplessa: «Gli italiani durante la cerimonia di apertura scherzavano troppo». Il Coni, che la ricorda domani in un convegno dedicato a donne e sport, avrà preso nota. Anche se lei non dispensa regole, nella sua lunga esistenza ne ha seguita una sola: niente legami, meno che mai con il passato.