la Repubblica, 9 novembre 2015
Il padre di Antonio dice che a plagiarlo è stata lei
ANCONA.
«Avete raccontato la favola del bullo e della ragazzina traviata, ma non avete capito nulla: mio figlio lo conoscono tutti, potete chiedere a chiunque, è un ragazzo buonissimo e lei lo ha plagiato, gli aperto la porta di casa e in pratica gli ha messo la pistola in mano. Poi gli ha urlato: basta, spara, ammazzali!».
Dal ballatoio del suo appartamento in uno dei corsi principali di Ancona, dove vive la buona borghesia, Carlo Tagliata in tuta da ginnastica minaccia i fotografi di buttarli giù dalle scale, se scattano. Ha un passato ingombrante da tenere lontano, al Sud, ma non ne vuole parlare. Criminalità organizzata. Niente foto, dunque: niente che non riguardi la loro vita attuale, e nessuna informazione sul “da dove viene”, nemmeno la regione. Tutto avrebbe voluto fuorché esporsi, e invece ecco di nuovo il suo cognome in cronaca nera.
Ha parlato con suo figlio, dopo la sparatoria?
«Certo. Eravamo dai carabinieri quando lo hanno trovato in stazione. Siamo stati noi a chiamarli, prima della sparatoria, quando ha telefonato a mia moglie dicendo che si sarebbe ucciso. Saranno state le 12,30».
Le ha detto della pistola?
«No, non ha detto altro. Mia moglie ha tentato di tranquillizzarlo, ma lui ha interrotto la chiamata e allora siamo andati dai carabinieri. Poco dopo è successo».
Non le pare strano, se voleva uccidersi?
«Lo conoscono tutti, mio figlio. Lo chiamano il gigante buono, è grande e grosso ma si è sempre tenuto fuori dai guai. Ma era in pericolo, non ragionava più. Ero andato persino a chiedere aiuto alla questura, per lui. Quella ragazza lo aveva plagiato, i suoi genitori lo stavano portando a fare un gesto estremo, aveva tentato di uccidersi già due volte. Una volta ha tentato di buttarsi dalla finestra, un’altra ha preso a testate un ferro. E anche lei ci ha provato due volte».
Cos’è successo sabato allora?
«Era fuori di testa, ha messo la pistola nelle mani di lei e le ha detto: uccidimi. Ma lei ha scansato il braccio con un gestaccio, e allora hanno deciso di andare a casa di lei a parlare con i genitori per tentare di risolvere la situazione, ma è finita male. Lei gli ha aperto la porta, i genitori lo hanno aggredito e nella colluttazione lui ha avuto paura. Lei, quando ha visto che si metteva male, gli ha urlato di ucciderli: spara, ammazzali, ammazzali!».
Non è per quello che aveva una pistola?
«Ma no, l’aveva presa per proteggersi perché aveva paura di quell’uomo, il papà di lei. L’aveva minacciato, gli aveva detto che sapeva come rovinare una persona e che lo avrebbe fatto con lui e anche con me».
E perché tanto odio? Non gli piaceva, suo figlio?
«All’inizio sì. Ho una lettera scritta dai genitori, ora la mostro, (è firmata dalla madre Roberta, ndr) in cui dicono di essere consenzienti alla relazione tra la loro figlia e mio figlio. La ragazzina è venuta qui accompagnata dalla madre, con la valigia: ha vissuto con noi per settimane, fino a una decina di giorni fa».
Perché un’autorizzazione scritta?
«Perché è minorenne, e prima di accoglierla ho preteso che mio figlio fosse tutelato».
Si frequentavano da tanto?
«Intensamente da circa quattro mesi. Lui era andato qualche volta a casa loro, lei a casa nostra. Poi era venuta a viverci, ma la situazione è precipitata. Aveva problemi, e non pensava ad altro che a loro due. Non lo faceva più andare a scuola guida, gli diceva che voleva un figlio da lui che non lavorava. E lei stessa non voleva più andare a scuola. C’era un clima di crescente negatività. A quel punto ho chiamato la mamma di lei. Le ho detto: mi fa paura, l’ho tenuta qui come una figlia ma ora vedo che sta male e fa star male anche mio figlio. Lei è venuta a riprenderla, ma la ragazzina non se ne voleva andare. Con noi si trovava bene, ci voleva bene e gliene volevamo anche tutti noi. Mia figlia la considerava una sorella».
Poi le cose sono cambiate?
«La ragazza aveva problemi di droga, e lui l’ha aiutata a uscirne. Si è sentito un uomo, si è fatto carico di tutti i problemi di lei ma anche del male che stava creando a noi. A scuola era nervosissima, tirava calci e pugni. Lui prende un tranquillante per gli attacchi di panico. Avrà perso venti chili con questa relazione: non mangiava più, era sotto cura da un medico. Quando è tornata a casa, i genitori non volevano più che lo frequentasse. Il papà di lei lo ha minacciato. A casa loro c’era tensione, disciplina militare».
Lui insisteva?
«Lei voleva stare con lui. A casa è stata picchiata, sbattuta sul letto e schiaffeggiata dal padre. Chiedete alla sua professoressa di religione, con cui si era confidata: voleva assolutamente andarsene. Per loro era una figlia ribelle. Era scappata diverse volte da casa, aveva avuto una relazione difficile già in passato. Ha sofferto molto e ha bisogno di aiuto, a noi aveva raccontato che la mamma le aveva confessato di aver tentato di abortire buttandosi dalle scale, quando rimase incinta di lei. Da noi era felice, ci adorava ed era adorata. Ma la situazione era diventata difficile».
Avete chiesto aiuto?
«È questo che non riesco a sopportare: la totale assenza delle istituzioni. Ci eravamo rivolti ai carabinieri e alla questura, il 28 ottobre la ragazzina aveva tentato di sporgere denuncia contro i suoi genitori per maltrattamenti e invece l’hanno fatta desistere dicendole che sarebbe finita in comunità. Ha preferito tornarsene a casa. Scuola, carabinieri e questura: nessuno ha evitato che uccidessero una donna, ferissero gravemente un uomo e si rovinassero la vita entrambi».
Torniamo alla pistola. Come se l’è procurata?
«Tutti sanno dove si va, ad Ancona. Lui è un ragazzo serio, benvoluto da tutti: non ha tanti soldi ma è rispettato, e a una persona così non si nega un favore».
Ha sparato otto colpi.
«Lei lo ha plagiato, è come se gli avesse messo la pistola in mano. È stata lei ad aprire la porta. Non c’è stata nessuna premeditazione, erano lì per parlare: ha sparato molti colpi per la situazione imprevista, se fosse entrato per uccidere gliene sarebbero serviti pochi».