Corriere della Sera, 9 novembre 2015
Sei un medico e stai dicendo al tuo paziente che ha il cancro. Che fare
S enza paura è un bel titolo. Esorta a superare un ostacolo e ad affrontare una sfida contro qualcuno più forte di noi. Ma provate a dirlo a un paziente al quale è stato appena diagnosticato un cancro, con la vita che deraglia e le gambe che non reggono più. Ci vuole un gran coraggio. La paura da sconfiggere è quella di non farcela, di non trovare la forza per reagire, di sentirsi fragili e soli. Nel tumulto emozionale di una diagnosi, quando sulla faccia del paziente si accende una spia rossa (il sottotitolo è: umiliazione) ci deve essere da parte del medico un aiuto, una strada comune da percorrere verso una nuova speranza: quella di non arrendersi, di essere più forti della malattia, di vincere, con quella che Gabriella Pravettoni e Umberto Veronesi chiamano la medicina della persona.
È difficile curare una patologia se non si studia e comprende l’influenza che questa esercita nello stato d’animo della persona ammalata, scrive la psicologa che coordina la neonata cattedra di Umanità alla Statale di Milano. La medicina della persona deve essere anche medicina dell’anima, senza perdere la sua scientificità, il suo rigore tecnico, aggiunge Veronesi, che questo approccio l’ha sempre avuto nella sua lunga carriera di chirurgo e direttore scientifico di Istituto dei tumori e, da più di vent’anni, dello Ieo, l’Istituto oncologico europeo. Con l’aiuto dei pazienti, analizzano a quattro mani le mille paure che si sommano a una diagnosi infausta e le piegano a un obiettivo che si può raggiungere solo lavorando insieme: ricostruire un progetto di vita.
Senza paura è una seduta soft di psicanalisi davanti a un’esistenza che si spezza, un ascolto partecipato per mettere a fuoco le risorse sulle quali fare leva dopo un imprevisto.
Parlano i malati con il loro vissuto e raccontano traumi e sofferenze, abbandoni e lacerazioni, la fatica di accettarsi e di essere accettati, il buio orizzonte rischiarato soltanto dalle persone care e dal medico che in quel momento è tutto, può tutto. Ma ne è davvero consapevole? A volte c’è quasi la sensazione che il dottore non faccia quel che Ippocrate dice di fare per promuovere l’alleanza terapeutica con il paziente. Gabriella Pravettoni si è incaricata di fare il trait d’union tra la persona che cura e chi deve essere curato: non si può combattere il cancro se non si combatte con e per il paziente, se non si cambia un approccio fin dalla formazione del medico nelle aule universitarie, se non si insegna che la comprensione umana o la condivisione sono strumenti di cura, al pari del bisturi, della chemio o della radioterapia.
L’ha ripetuto il rettore dell’Università Statale, Luca Vago, ai giovani studenti del corso di oncologia, centrato sul rapporto medico paziente: purtroppo il sistema sanitario sembra privilegiare altro, lottizzazioni, rimborsi, burocrazia, orari e ticket. Esiste inoltre, da parte di alcuni dottori, un’atrofia da disuso della relazione, una mancanza di sensibilità che Giorgio Coggi, ex primario ed ex preside della facoltà di Medicina, riassume nella visita di cui è stato testimone diretto nel ruolo di paziente: «Aperta la porta dell’ambulatorio il medico mi ha accolto così: Buongiorno, mi dica. Senza alzare lo sguardo, rispondendo al telefonino. Che cosa dovevo dirgli? Mi dia due etti di prosciutto?...». Bisogna provarlo il gelo dentro che provoca una diagnosi di tumore. «È un po’ come se mi si fosse spento il sole nella testa: congelata, elettroencefalogramma piatto», racconta una malata.
Esagerazioni? Ai medici distratti per fortuna se ne contrappongono altri impegnati, empatici, coinvolti in una battaglia comune, capaci di donare del tempo e dire che il cancro non ti toglie la vita, ma te ne dà una nuova, diversa. Umberto Veronesi, alla soglia dei novant’anni, lo ripete sempre, mantenendo quella capacità di dialogo che ne ha fatto, con i tanti meriti scientifici, un simbolo della lotta ai tumori in Italia e nel mondo.
Nell’autobiografia sotto forma di intervista con Annalisa Chirico ( Confessioni di un anticonformista ) aggiunge al grido di battaglia per i pazienti una visione della sanità più umana, con ospedali meno obsoleti e strutture più efficienti, per ridurre i costi e creare condizioni di maggior benessere. Racconta anche la sua rincorsa nella vita, dall’infanzia povera ai successi professionali che l’hanno avvicinato al Nobel: quasi un incoraggiamento a chi deve affrontare una sfida che può apparire impari, ma che oggi nella maggior parte dei casi, si può anche vincere. «Otto volte su dieci il cancro può essere debellato con la diagnosi precoce», sostiene Veronesi.
Nella malattia si cambia e si cresce: la sofferenza aiuta a dare a ogni cosa il giusto peso nella vita, ha detto il presidente della Repubblica Mattarella. Dobbiamo reimparare a essere felici, facendo tesoro del buono che c’è intorno a noi. Sperando che l’esito finale sia quello auspicato da Woody Allen con una battuta: le due parole più belle che si possono ascoltare non sono: ti amo. Ma: è benigno.
Altrimenti ci sono queste: insieme possiamo farcela.